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Cina: la pig farm a cui non siamo disposti a rinunciare

 

Sono passati circa 10.000 anni da quando noi esseri umani abbiamo iniziato ad addomesticare piante e animali, eppure sappiamo ancora sorprenderci. Poche coppie saprebbero dire la stessa cosa dopo appena il terzo anniversario. In Cina aprela più grande fattoria di maiali al mondo,un enorme edificio di ventisei piani di suini che nascono, mangiano, cresconoperché altri esseri, umani, li mangino. Il governo cinese insegue unavisione di autonomia alimentareche negli ultimi anni sta facendo fiorire questi mega centri di allevamento. Progettati e gestiti come una qualsiasi altra fabbrica, dovel’animale è l’oggetto realizzatoe tutti gli input (come mangimi e energia) e i sottoprodotti (il letame) sono ottimizzati. La nuova mastodonticapig farmè stata aperta in ottobre nella città diEzhou,a meno di cento chilometri da Whuan e con un investimento di circa 570 milioni di euro. Produrràpiù di 100.000 tonnellate di carne di maiale all’anno.Carne che la Cina consuma forte, una cosa come 52 milioni di tonnellate in un anno. Una fame destinata ad aumentare di una decina di tonnellate nel corso di questa decade. Povere bestie, sì. Difficile pensare a un enorme edificio pieno dimaiali trattati come output di una catena di montaggioed essere totalmente okay con questa cosa. Sarò cinico, ma è più comodo accettare l’immagine del contadino di una volta che alleva il suo bel maiale e alla fine lo sgozza con duecallose mani da nonno amorevole. Perché se vogliamo guardare la questione della carne da un punto di vista puramente morale, un allevamento intensivo non è la vera antitesi di un allevamento di campagna tradizionale.Il veganesimo lo è. Certo, se fossi un maiale probabilmente preferirei vivere in una fattoria tradizionale. Mala perfezione sarebbe non essere proprio considerato cibo. Anzi, per rispettare davvero il mio “benessere animale” pretenderei che mi si desse cibo e riparo, che mi si pagasse per un’istruzione degna, mi si concedesse di viaggiare e conoscere l’amore, di imparare dagli errori e realizzarmi. Sul letto di morte vorrei l’allevatore al mio fianco, che stringendomi la zampa mi dicesse: “Sei stato coraggioso, piccolo.” Esolodopoaver esalato il mio ultimo respiro, potrebbe mangiarmi. Non gliela farei pesare. Sarò ancora più cinico:dal punto di vista degli impatti ambientali, questo tipo di soluzione potrebbe avere un suo senso.La produzione e il consumo di carne sonoun grande problema per quanto riguarda l’uso dei terreni, e di conseguenza contribuiscono sia al cambiamento climatico sia alla perdita di biodiversità. Allevare animali significa destinare tanto spazio non solo agli animali stessi ma anche aiterreni agricoli in cui coltivare ciboche loro mangeranno e solo in piccola parte tramuteranno in ciccia. Già impieghiamo metà di tutte le terre abitabili del pianeta per la produzione agricola. Di queste,il 77% è dedicato alla produzione di carne e latticini, che restituiscono appena il 18% delle calorie consumate da noi umani. Un mondo che diventa più ricco è un mondo che può mangiare di più, e i dati dicono che con la ricchezza aumenta il consumo di carne. Significa che, razionalmente,dobbiamo aspettarci sempre più bisogno di spazio per produrla. Lo spazio è però limitato, cosa che ci obbliga a trovare modelli di produzione più densi. Non fraintendiamo: la fabbrica di maiali è l’espressione scioccante di una società che piuttosto che cercare una relazione bilanciata con l’ecosistema in cui si muove, accettandone i vincoli, applica il proprio ingegno a una ricerca senza sosta di efficienza. Sarebbe bello un mondo in cui rendendoci conto diquanto sia insostenibile mangiare tutte queste proteine animali, ci abituassimo semplicemente a consumarne meno. Ma visto che sembra sia più facile restare impuniti se si tocca il culo di unə pendolare sul tram piuttosto che il suo piatto, mi pare chiaro che l’essere umano abbia ancora un po’ di strada da fare per ricordarsi cheesiste un limite a tutto. Chiediamoci a quanti piani dovranno arrivare lepig farm, prima che ciò succeda.

Redazione

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