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Querela, querela, qualcosa resterà

 

Ieri seraMatteo Renziha annunciato una querela al direttore diDomani, Stefano Feltri, per un intervento durante il programmaOtto e Mezzo. Ha risposto a una domanda di Lilli Gruber sulla ricerca di consenso dei politici, circa gli evasori fiscali. Ieri l’altroGuido Crosetto, ministro della Difesa, ha scritto su Twitter che ha dato mandato al suo studio legale di agire perché – scrive – “sono certo che le condanne in sede civile e penale siano l’unico metodo che direttori, editori e giornalisti possano intendere, di fronte alla diffamazione. Il mio ora è un obbligo istituzionale: quello di difendere il Dicastero”. La vicenda è relativa a un articolo di Giovanni Tizian ed Emiliano Fittipaldi, sempre diDomani. Lungi dal voler entrare nel merito di queste specifiche controversie, la questione della denuncia per diffamazione comincia a preoccuparmi. Quando un politico o una politica denuncia ungiornalista, fa un atto unilaterale.Infatti mentre il giornalista può essere giudicato – spesso e volentieri poi, queste querele finiscono nel nulla, per fortuna, ma gli avvocati occorre pagarli e costan caro – non vale il contrario. Se il giornalista volesse denunciare il politicodi diffamazione per averlo offeso o diffamato, o anche solo di averlo intimidito sottoponendolo al pubblico ludibrio di agenzie stampa o internet, nonpotrebbe. Perché chi sta in Parlamento hal’immunità parlamentaree non può essere processato. E così prevede la Costituzione: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Per cui, la denuncia da parte di un politico non prevede reciprocità.Il politico, può vincere, pareggiare, ma mai perdere. È un gioco in cui perde solo la stampa, che infatti negli ultimi anni non ha solo perso lettori, copie, e fatturati, ma autorevolezza. E perché ha perso autorevolezza? In parte, perché siamo sommersi daquerele temerarie- ovvero cause di diffamazione con richieste di risarcimenti altissimi e basate su poco niente – fatte da persone molto benestanti che possono permettersi le parcelle di ottimi studi legali. E di conseguenzapur di evitare querele di quel tipo molti scelgono di autocensurarsi. Non per nulla, quest’anno l’Italia è scesa dal 41° al 55° posto nelWorld Press Freedom Index.

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