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Se l’economia mondiale rallenta

 

In un quadro generale piuttosto incerto a livello globale, si concretizza sempre più il timore di una possibile recessione globale. Come emerso dal 106° incontro delDevelopment Committeedella Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale – al quale hanno partecipato Ministri delle Finanze, politici, banchieri e accademici per discutere l’operato delle 2 istituzioni – domina un clima tutt’altro che positivo per l’economia mondiale. Infatti, dopo mesi di guerra, le ultime previsioni indicano un importanterallentamento dell’economia mondialedovuto principalmente all’aumento dei prezzi dell’energiae delcibo-che sta compromettendo il potere d’acquisto di famiglie e imprese – e al clima di incertezza causato dalle condizioni di finanziamento che stanno via via rallentando, costringendo le Banche Centrali a un inasprimento delle politiche monetarie, con l’obiettivo di frenare la crescita dei prezzi al consumo. Già da qualche tempo si parla delle stime al ribasso del Fmi sul Pil, che stima ad appena il 2,7% la crescita mondiale nel 2023, lo 0,2% in meno rispetto a quanto atteso a luglio, dato più basso dal 2001 con le sole eccezioni della crisi del 2008 e di quella scatenata dalla pandemia nel 2020. In particolare, in Italia si attende un tasso di crescita negativa del -0,2%, un calo di 0,9 punti sulle stime di luglio. Queste revisioni accadono principalmente perché è difficile stimare il Pil oltre i 2 trimestri, soprattutto in un contesto internazionale dove sono numerosi i fattori di incertezza che influenzano l’andamento delle economie dei singoli Stati, costringendo le istituzioni arivalutazioni continue,partendo proprio dall’analisi dei possibili rischi. Invero, l’evoluzione della situazione economica mondiale è strettamente legata alla capacità degli Stati di gestire in maniera efficiente i3 aspetti caratterizzanti della crisi europea,cioèenergia,inflazionee condizioni difinanziamento. In tema di gestione, però, i governi dovranno sviluppare soluzioni che comprendano obiettivi di lungo periodo e, soprattutto, tenendo in considerazione 3 premesse fondamentali. La prima riguarda il fattore trainante della crisi globale attuale, ovvero la crisi energetica, per la quale è previsto un netto peggioramento, anche nel 2023, quindi, non si avrà una soluzione a breve termine. La seconda è inerente alla necessità di calcolare coscientemente le politiche di spesa a debito che, se troppo irrealistiche/aleatorie, potrebbero rappresentare un disincentivo agli investimenti esterni, come accaduto nel Regno Unito, riducendo drasticamente i margini di manovra. La terza è la consapevolezza da parte dei singoli Stati che la soluzione risieda nella cooperazione europea, stipulando un accordo che abbia come oggetto l’approvvigionamento e la redistribuzione delle materie prime, e politiche finanziarie volte a obiettivi di lungo termine comuni. Spesso, però, accade proprio il contrario, per cui in condizioni di emergenza, come quella che stiamo vivendo oggi, si tende arimandare gli obiettivi di lungo termine,concentrandosi su soluzioni temporanee capaci solo di tamponare le situazioni critiche imminenti. Prendendo in esame il quadro europeo, infatti, domina un clima di contrasti sugli interessi degli Stati membri che ha portato a una serie difficoltà nella gestione della crisi. Ma il 21 ottobre la Commissione Europea, dopo ore di trattativa, è riuscita a raggiungere un accordo tra i paesi dell’Eurozona. L’obiettivo è quello di creare unfondo finanziato a debito comuneper tutti i Paesi che tenga conto dei mix energetici e delle dinamiche interne dei singoli Stati membri, portando al progressivo superamento dell’emergenza energetica. Si terrà il prossimo 18 novembre un nuovo Consiglio Energia straordinario, nel quale verranno delineate le modalità di attuazione del programma, per renderlo funzionante già dalle prossime settimane.

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