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Arabia Saudita: condannato a 16 anni per 14 tweet

 

È stato suo figlio Ibrahim a parlare. Non ha potuto farlo prima perché, secondo il Dipartimento di Stato americano, rendere pubblico il caso diSaad Ibrahim Almadiavrebbe messo in pericolo lui e la sua famiglia. Ora che è passato un anno dall’arresto del padre di Ibrahim, però, il ragazzo ha deciso di denunciare l’accaduto alWashington Post. Il settantaduenne, che ha la doppia cittadinanza statunitense e saudita, è un project manager che a novembre 2021 stava tornando nel Paese natale per rivedere la sua famiglia. Ma, una volta atterrato all’aeroporto di Riyadh, in Arabia Saudita, Almadi sarebbe stato arrestato dagli agentiper aver criticato il regime suTwitter: i pubblici ministeri si sono concentrati su 14 tweet pubblicati nell’arco di 7 anni, quando viveva in Florida. Uno in particolare faceva riferimento aJamal Khashoggi, l’editorialista delWashington Postassassinato da alcuni agenti sauditi nel consolato di Istanbul nel 2018. Anche se era a conoscenza della repressione saudita sul dissenso, visti i precedenti, Ibrahim ha detto al britannicoGuardianche suo padre si sentiva al sicuro a tornare in Arabia Saudita per una breve visita, sia per la sua cittadinanza americana sia perché appartiene a una delle tribù meglio considerate nella società saudita: pensava di essere «intoccabile. Ma nessuno è intoccabile sotto MBS (il principe ereditarioMohammed bin Salman,ndr). Nemmeno Dio», ha detto Ibrahim. Intervistato dal giornalista Josh Rogin, ha raccontato alWpche suo padre aveva «quelle che definirei opinioni miti sul governo». Ma è stato accusato di nutrire un’ideologia terroristica, cercare di destabilizzare il regime, sostenere e finanziare il terrorismo. Accuse per cui, dopo 11 mesi di detenzione, il 3 ottobre è statocondannato a 16 anni dicarcere, da aggiungersi aldivieto di viaggiare per altri 16 anni: scontare l’intera pena vorrebbe dire uscire di prigione all’età di 87 anni e tornare negli Stati Uniti solo una volta compiuti 104 anni. Dall’anno scorso Ibrahim ha lavorato dietro le quinte per sollecitare il governo degli Stati Uniti a impegnarsi per garantire il rilascio di suo padre, che secondo i funzionari americani sarebbe statotorturato in carcereper aver richiesto l’assistenza del Dipartimento di Stato Usa. Inoltre, il governo saudita avrebbe minacciato Ibrahim e la sua famiglia pur di farli tacere. Ma, scrive ilWp, il figlio di Almadi è “frustrato e disperato” perché il caso non è stato gestito in modo competente, e vuole che il pubblico americano conosca l’intera storia. Quando Almadi è stato condannato,nessun funzionario statunitense ha partecipato all’udienza. Il Dipartimento ha detto a Ibrahim di non aver comunicato la data all’ambasciata per via di una dimenticanza. Gli Stati Uniti, in passato, hanno ottenuto il rilascio di molti cittadini ingiustamente incarcerati inRussia, Venezuela e Iran, ma hanno avutomeno successocon l’Arabia Saudita. L’amministrazione Biden avrebbe già sollevato forti preoccupazioni con i funzionari di Riyadh per concedere all’uomo lo status di “ingiustamente detenuto”, per spostare il fascicolo di Almadi all’Ufficio dell’Inviato presidenziale speciale per gli affari in ostaggio. Non è la prima volta che un cittadino saudita residente all’estero viene arrestato al suo ritorno a casa per dei post critici sui social media: è successa la stessa cosa aSalma al-Shehab, la studentessa e attivista sauditacondannata a 34 anni di carcereper aver seguito e ritwittato dissidenti e attivistidal suo account Twitter. Anche lei, residente nel Regno Unito, è stata arrestata nel 2021 dopo essere tornata nel suo Paese d’origine per una vacanza.

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