“Assenteismo, abbandono, frequenza passiva o accumulo di lacune che possono inficiare le prospettive di crescita culturale e professionale dello studente”. Così l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza definisce ladispersione scolastica, un fenomeno che in Italia tocca ogni anno 110.000 alunni:lo 0,64% (pari a 10.938 alunni) per la scuola secondaria di I grado e il 3,79% (pari a 98.787 alunni) per la scuola secondaria di II grado. Una cifra che nel complesso ammonta al numero di abitanti di Vicenza, per avere un’idea in termini concreti. Un dato importante, che si aggiunge a quelli forniti daEurostat, l’ufficio statistiche dell’Unione Europea, secondo cui nel 2021 il 12,7% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato precocemente la scuola, fermandosi alla licenza media e da cui emerge che l’Italia è uno dei Paesi con il tasso più alto diabbandono scolastico, seguita da Spagna (13,3%) e Romania (15,3%), ben lontano dalla media europea del 9,7%, fissata al 9% dal Consiglio Ue da raggiungere entro il 2030. In Italia l’obbligo scolastico, in base alla legge 296/2006, dura 10 anni e va dai 6 ai 16 anni di età. Vi è inoltre un percorso finalizzato al successivo raggiungimento o di untitolo di scuola superioreoppure di unaqualifica professionale, almeno triennale, entro i 18 anni. In ogni caso, anche per chi ha assolto l’obbligo scolastico, vi è un obbligo formativo: il diritto-dovere di frequentare attività di formazione fino ai 18 anni. Tuttavia, così non è, soprattutto nelle maggior parte delle regioni del Mezzogiorno dove l’abbandono scolastico supera la media nazionale: 21,1% in Sicilia, 17,6% in Puglia, 16,4% in Campania e 14% in Calabria, come attesta il rapporto della organizzazioneSave the Childrenche scorpora i dati Eurostat, considerando degli indicatori strutturali dei servizi educativi (pagina 11 rapportoSave Children) e confermando l’analisi Istat 2021, secondo cui “laddove la povertà minorile – pari a 1.346.000, ben 209.000 in più rispetto all’anno precedente – è più alta, e sarebbe dunque importante un’offerta formativa di qualità, la scuola è più povera, privata di tempo pieno, mense e palestre”. Si lascia dunque la scuola principalmente per contribuire al reddito del proprio nucleo familiare. Eppure lalegge 977 del 1967prevede che gli adolescenti possano lavorare non prima di aver compiuto i 15 anni e solo dopo aver ottemperato all’obbligo scolastico. Chi impiega ragazzi e ragazze prima dei 16 anni commette un’illegalità. Anzi due, poiché non è possibile stipulare un regolare contratto e questi minori andranno quindi a ingrandire il bacino del lavoro nero. Reclutamento da parte di organizzazioni criminali e inadeguatezza formativa per chi entra nel mondo del lavoro sono altri effetti dell’abbandono scolastico, causa e insieme conseguenza di mancata crescita, di deficit democratico perché in alcune regioni e in alcuni quartieri è più complesso concludere il percorso di istruzione e indicatore di una deficienza nel sistema in termini di equità, in un Paese che non fa figli. Se ne sta parlando nel dibattito pubblico, in un anno che si annuncia più difficile dei precedenti, segnati dai grandi disagi psicologici che questa fetta di popolazione -7,2 milionitra i 6 e i 18 anni – ha manifestato nel corso della pandemia, con cui inevitabilmente continuerà a fare i conti anche oggi. A cui si aggiungono le questioni sistemiche che da molti anni minano l’offerta formativa, come l’alta mobilità dei docenti, le pluriclassi composte da alunni di età diverse e le scuole sottodimensionate.
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