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La rabbia delle iraniane continua a crescere

 

Non è chiaro quale sarà l’esito delleprotesteche ormai da più di 10 giorni infiammano l’Iran: il governo non ha dato alcun segno di apertura, non una parola sul mettere in discussione il ruolo (men che meno l’esistenza) della polizia morale, né alcuna delle istituzioni vigenti. Il presidente Ebrahim Raisi ha dichiarato l’intenzione di“affrontare con decisione” le persone che protestano. Quel che è certo è che le rivolte continuano e non accennano a rientrare, tutt’altro, i luoghi in cui gli scontri con il regime si fanno sempre più accesi, aumentano costantemente. Le proteste, inizialmente concentrate nell’area curda e nella capitale del Paese, si sono diffuse in tutte le regioni, dai centri più grandi alle cittadine più piccole e periferiche. Ma il regime religioso iraniano ha portato il suo conflitto con la società oltre i confini del Paese, bersagliando le città del Kurdistan fino in Iraq. Nella notte tra il 23 e il 24 settembre la popolazione di ‪Oshnavieh‬⁩ (⁦‪Shno‬⁩), città curda iraniana, ha preso il controllo di quasi tutto il territorio cacciando le guardie armate. L’indomani il regime ha lanciato una controffensiva isolando la città, tagliando le linee telefoniche e assediandola con elicotteri e mezzi corazzati. Contestualmente droni da combattimento iraniani sono arrivati nelle regioni di Bradost e Belekayeti nel Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale), dove i bombardamenti vanno avanti da 5 giorni. Ancora non si riescono ad avere bilanci precisi e notizie certe, ma è chiaro che le vittime di quest’operazione saranno molte. Mala popolazione non si sta facendo intimidiree la rabbia cresce, insieme al numero delle vittime, che secondoIran Human Rights,ormai sono più di 76. Tra loroHadis Najafi,ragazza ventenne uccisa con sei proiettili a Karaj, una delle molte città in cui il regime ha cercato di disperdere i cortei sparando contro le persone. Prima della sua brutale uccisione, il viso di Najafi era diventato familiare per milioni di persone nel mondo che l’hanno vista sorridere, legarsi i capelli e poi confondersi tra le migliaia di corpi che avanzano nelle strade, contro un governo teocratico e corrotto. Il suo probabilmente sarà uno dei tanti funerali celebrati vegliando le notti, di nascosto dalle autorità che hanno proibito celebrazioni pubbliche. La notizia della morte di Najafi, la sua rilevanza, insieme alla ragione per cui queste proteste sono cominciate (il femminicidio di Jina Mahsa Amini), ci parlano del ruolo daprotagonistedellegiovani donnein queste rivolte, qualcosa di inedito rispetto alle proteste del 2019. “Zan, Zandegi, Azadi” è la traduzione in persiano di “Jin, Jiyan, Azadi” lo slogan che abbiamo imparato a conoscere grazie alle YPJ (Yekîneyên Parastina Jin), le unità combattenti di sole donne del movimento confederale nato in Kurdistan. Le stesse che hanno difeso la rivoluzione del Rojava e l’Europa sconfiggendo l’Isis. Il fatto che ci sia un richiamo così esplicito al Rojava, o meglio all’Amministrazione Autonoma del Nordest della Siria (AANES), è significativo: si tratta di un’esperienza rivoluzionaria in cui l’autonomia delle donne è uno dei pilastri centrali, che pratica la democrazia diretta, la libertà di culto, l’equa distribuzione delle risorse materiali e sociali. Tutte cose agli antipodi rispetto alla realtà della Repubblica Islamica dell’Iran (e di molti altri posti nel mondo). Forse però, questo riferimento racconta di cosa si sogna nelle piazze dell’Iran di questi giorni. Non sappiamo cosa accadrà. Nel frattempo però persone completamente diverse tra loro continuano auscire in strada, incontrarsi e resistere. Continua la solidarietà internazionale anche in Italia. Triennale Milano ha lanciato un’iniziativa di pacifica protesta: da oggi si potrà lasciare una ciocca dei propri capelli legata con un filo di corda in un contenitore nell’atrio del Palazzo dell’Arte. Queste verranno poi consegnate al Consolato Generale della Repubblica Islamica dell’Iran.

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