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Brasile: le nuove (insostenibili) varietà di grano

 

Nel febbraio di quest’anno le preoccupazioni per una crisi alimentare globale erano aumentate notevolmente a causa dellaguerra fra Russia e Ucraina, due dei maggiori esportatori mondiali di cereali. Ma nonostante il parziale blocco delle esportazioni, i prezzisono tornatia livelli pre-guerra e i vari produttori mondiali stanno elaborando nuove soluzioni per evitare questi tipi di shock. Anche per rispondere all’aumento dei consumi della popolazione globale, proiettataoltre i 9 miliardidi persone nel 2050. Al centro di questo sforzo vi è ilBrasile, che secondo i ricercatori dell’istituzione statale federale brasilianaEmbrapa, potrebbe diventareautosufficientenella produzione digranoentro 10 anni grazie all’espansione della produzione nella ecoregione del Cerrado, una grande savana tropicale situata nella parte centrale e nord-orientale della nazione. La produzione attuale èstimataintorno alle 6,2 milioni di tonnellate annue, con allo stesso tempo un’importazione di 6,4 milioni di tonnellate, cosa che ha spinto sempre di più le autorità brasiliane a ricercarenuove varianti di grano, più resistenti e più adatte al clima tropicale in rapido cambiamento. Questa ricerca legata all’autonomia alimentare, e per ragioni di business commerciale, è il frutto di un lungo lavoro iniziato negli anni ‘70 quando il Brasile dipendeva per quasi tutto dall’estero. Con il paziente lavoro dei ricercatori si è riusciti a trasformare il Paese nel quarto esportatore mondiale di cibo e ora con lanuova variantedi granoBRS 264, o lavarianteHB4, si spera di poter sfruttare ulteriori terreni per aumentare la produzione. Secondo il presidenteJair Bolsonaroin 10 anni «esporteremo l’equivalente di quel che consumiamo in Brasile» e il suo ottimismo è condiviso dal dirigente Celso Luiz Moretti, a capo dell’Embrapa, il quale haaffermatoche «se ci sono delle regioni del mondo dove possiamo espandere la produzione di cibo, queste sono le aree tropicali e sub-tropicali». Ma l’ottimismo della classe dirigente non è condiviso da tutti gli scienziati, come la biologa Morgana Bruno della Università Cattolica di Brasilia che hadenunciatoi possibili pericoli: «La produzione di cibo è importante, certamente. Ma la savana brasiliana è unfragile ecosistema, oltre che la casa di differenti piante e specie animali, ed è estremamente importante per l’intera economia idrica del Paese. Se troppa acqua verrà usata per le coltivazioni, il resto della nazione soffrirà di siccità». Oltre ai problemi dell’impatto sull’habitat naturale, la società brasiliana deve tenere conto anche dell’aggravamento e dell’imprevedibilità della crisi climatica che nei primi tre mesi dell’anno ha comportato un declino dell’8% del settore agricolo. «Ci sarà dell’adattamento – gli agricoltori cambieranno i loro comportamenti, utilizzando più fertilizzante o altre varianti di grano – ma quello che è allarmante è il fatto che il segnale dal clima non è roseo», haammonitoJonas Jägermeyr, climatologo alNasa Goddard Institute for Space Sciences.

Redazione

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