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Climate change litigation: il punto

 

Negli ultimi anni è aumentato il numero di cause legali nei confronti di organi pubblici e/o aziende private che vengono accusati di non rispettare obblighi internazionali relativi a due diligence e diritti umani, di stabilire standard ambientali minimi o poco ambiziosi e, più in generale, di ovviare a far fronte allacrisi climaticaglobale in modo concreto. Questa nuova propensione viene sottolineata nel report pubblicato lo scorso 30 giugno dai ricercatori delGrantham Research Institute on Climate Change and the Environmente delCentre for Climate Change and Economics and Policy,che sottolineano come leclimate change litigationsstiano acquisendo un ruolo sempre più evidente nellalotta contro il cambiamento climatico. In particolare, il report, con il supporto dei databaseClimate Change Laws of the World e United States Climate Litigation, analizza queste cause presentate a giudizio o concluse tra maggio 2021 e maggio 2022. Considera 2.002 contenziosi, di cui 1.426 presso corti degli Usa, 576 in altri Stati e 15 presso tribunali internazionali o regionali, inclusa l’Unione Europea. È importante notare che, nonostante la stragrande maggioranza dei casi identificati siano giudicati in paesi sviluppati, non vengono risparmiati i tribunali di altri Stati. E il numero di cause è in aumento. Sono stati identificati, infatti, almeno 88 contenziosi nel “Global South”, di cui 47 in America Latina e nei Caraibi, 28 in Asia e 13 in Africa. I ricercatori sottolineano anche che vengono prevalentemente accusati gli organi pubblici nazionali e/o regionali, sebbene stiano aumentando i contenziosi contro le compagnie, soprattutto se si occupano dicombustibile fossile, e le aziende che lavorano in settori come agricoltura,trasporti, plastica, finanza e nutrizione. Ma quali sono i fondamenti giuridici dei climate change litigations? Non esiste una strategia unica e univoca usata in tutte le giurisdizioni. Le argomentazioni e la linea d’azione, infatti, cambiano a seconda di quale comportamento o pratica si voglia scoraggiare o incentivare. Queste strategie vengono suddivise dagli stessi ricercatori in “climate-aligned” e “non-climate-aligned”. Nel primo gruppo si inseriscono tutti i contenziosi che hanno come scopo quello di incentivare standard ambientali più elevati e progetti più ambiziosi. Nel secondo, invece, rientrano tutte quelle argomentazioni che chiedono un risarcimento per danni e/o che si basano sul mancato rispetto degli obblighi relativi ai diritti umani (se gli accusati sono organi statali) o due diligence (se si rivolgono a pratiche aziendali). In quest’analisi, i ricercatori hanno anche identificato strategie comuni. Oltre all’aumento di cause legali che trattano digreenwashinge del ruolo delle istituzioni finanziarie o delle compagnie di combustibile fossile, i ricercatori hanno individuato un aumento di cause che fanno riferimento alla relazione tra il rispetto deidiritti umanie ilcambiamento climatico. Questo è particolarmente vero quando gli avvocati propendono per una strategia “non-climate-aligned”. La tendenza più interessante presentata nel report, però, è un’altra. Come sottolineato anche dalWorking Group III dell’Ipcc, è ormai chiaro che le climate change litigations rappresentano uno strumento per incentivare politiche ambientali nazionali sempre più ambiziose ed efficienti. Non riguardano, infatti, solo le parti coinvolte nel contenzioso e non favoriscono la singola azienda, Ong o individuo che ha citato in giudizio un organo pubblico o un’azienda. Al contrario, andrebbero interpretate in un contesto più ampio, perché posso creare benefici per tutti noi, dato che le sentenze, soprattutto se emanate dalle corti di ultima istanza, promuovono climate actions più ambizione e vogliono allinearsi con i target stabiliti nell’Accordo di Parigi. In tal modo, non sono solo i decisori politici ad avere un ruolo fondamentale per far fronte alla crisi climatica globale, ma anche la giurisprudenza, che noi possiamo attivare, ha la possibilità di fare la differenza.

Redazione

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