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Come sarebbe il mondo senza foreste pluviali?

 

Il 22 giugno si celebra laGiornata mondiale delle Foreste pluviali, ma c’è poco da festeggiare: questi polmoni verdi, fondamentali alleati nella lotta allacrisi climatica, oggi sono in estrema difficoltà. Nell’ultima COP 26 oltre 100 leader mondiali hanno promesso quasi 19,2 miliardi di dollari di fondi pubblici e privati perporre fine alla deforestazionee impegnarsi arivitalizzare la copertura forestale entro il 2030.Un accordo firmato anche da quel Brasile responsabile del disboscamento dell’Amazzonia. Questi Paesi riusciranno a mantenere i loro impegni? Riusciremo davvero a salvare le grandi foreste pluviali del mondo, come quella del Congo per esempio? Domande lecite se si pensa a come sarebbe un Pianeta – già indirizzato verso una condizione sempre più drammatica -privo di foreste pluviali. A raccontare cosa accadrebbe senza questi bacini fondamentali per l’assorbimento dicarbonioè stato di recenteGabriel Labbate, capo dell’Unità per la mitigazione del clima delProgramma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), che sulle pagine dei portali Onu ha spiegato perché la salvaguardia delle foreste pluviali è così urgente. Labbate sostiene che, a oggi, non esiste un modo certo per limitare il surriscaldamento globale che va verso i +2°C se non riusciremo a ridurre le emissioni entro pochi anni. Ma un ottimo sistema per favorire questo processo è ilripristino delleforesteche ci aiutano a rimuovere il carbonio, così come di pari passo deve essere compiuto il processo di decarbonizzazione. Le foreste pluviali però non fanno soltanto questo, ma ben di più: Amazzonia, foreste del Congo e altri angoli di “rainforest” del Pianeta sono dei giganteschiserbatoi dibiodiversità,permettono la regolazione della disponibilità idrica, influenzano l’andamento delle precipitazioni anche a migliaia di chilometri di distanza e sono una fonte di cibo, medicine e redditoper milioni di persone. Senza di loro, semplicemente in molte zone del mondonon sarebbe possibile la vita. Alcune di queste foreste sonovicine a un punto di non ritorno: senza l’Amazzonia (che si sta “savanizzando”) l’intero ciclo del clima potrebbe avere delle serie ripercussioni. «Ci sarà una cascata di impatti in seguito alla scomparsa di un ecosistema del genere. Probabilmentesarà più di quanto la società può sopportare», dice senza mezzi termini Labbate. Per cui è necessario lavorare per cambiare, per esempio, le monocolture e isistemi di produzione alimentare: la deforestazione, l’espansione della soia e del bestiame e di altre colture stanno portando infatti alla perdita delle foreste autoctone. Così come saranno necessari nuovi sistemi per arginare ecombattere gliincendi. Per arrivare a un cambiamento, secondo Labbate, è necessario anche un ripensamento dell’acquisto di quelle merci (per esempio come sta provando a fare l’Europa) collegate alla deforestazione e i governi devono «agire per rafforzare la conservazione e portare avanti il ripristino». Altrimenti, dalla mancanza d’acqua alla perdita di biodiversità sino all’aumento delle emissioni senza la funzione degli alberi, si arriverà a unagraduale perditadelle foreste pluviali chesconvolgerà il Pianeta. «Ecco perché è urgente invertire la rotta», chiosa il responsabile Onu.

Redazione

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