Si cresce con l’idea che il piccolo mondo dove siamo natə sia quello più giusto possibile. E, invece, «basta poco,un incontro, un amore e tutto cambia». Questo mutamento, però, può accadere solo se si ha il coraggio di ascoltarsi e andare incontro a nuova vita, ancor più in un ambiente chiuso e trincerato nelle proprie tradizioni. Come racconta la sinossi ufficiale del filmL’altra Luna,Luna(Luna Zimic Mijovic)frequenta l’ultimo anno di studi all’Università di Sarajevo e sta per sposarsi con il suo fidanzato di lunga data, Haris (Arimin Omerovic). Il padre, Saša (Senad Basic), è un importante chirurgo di origine serba mentre la madre, Amela (Selma Alispahic), è di famigliamusulmanama non praticante. Luna ha anche unfratello minore,Nermin(Fedja Zahirovic), adolescente problematico,razzistae xenofobo, in forte conflitto con i genitori e frequenta un giro poco raccomandabile di teppisti di strada, coinvolti in aggressioni ai danni di zingari e barboni. Maja (Maja Juric) è la migliore amica di Luna: una bellissima biondina dal carattere duro e spigoloso che vive nella casa accanto insieme al fratello Esad (Esad Bilic). Le due ragazze sono cresciute insieme perché Maja ed Esad sono orfani e i genitori di Luna si sono occupati di loro fin da piccoli. Haris, dal canto suo, proviene da una famiglia potente e lavora presso lo studio del padre, il più importante avvocato d’affari del paese. Tutto comincia in una fredda serata d’inverno quandoMartina(Tania Bambaci) arriva aSarajevo. La donna sta attraversando un momento diprofonda crisi personale: oppressa da un padre invadente e incerta di fronte al suo futuro professionale, dopo aver troncato l’ennesima superficiale storia d’amore decide di prendersi del tempo e ritrovare se stessa. Martina è ospite da Matteo (Matteo Silvestri) suo amico di vecchia data, socio in affari di Haris e fidanzato con Maja. Luna e Martinasi incontrano a cena a casa di Matteo e sono fin da subito incuriosite eattratte l’una dall’altra. Nonostante la vita di Luna sembri scorrere normalmente, la vicinanza di Martina la scuote non poco. Le due ragazze iniziano a frequentarsi assiduamente e, man mano che la loro amicizia si fa più profonda, si isolano dal mondo circostante per trascorrere sempre più tempo insieme. Matteo, preoccupato, affronta con durezza Martina che però non si lascia intimorire e si trasferisce nella casa disabitata che la nonna ha lasciato in eredità a Luna. Qui le due ragazze fanno l’amore per la prima volta. Tra loro nasce così unarelazione tenera e coinvolgenteche, consapevoli del contesto, mantengono segreta. Intrisa della cultura bosniaca dentro cui è sempre vissuta, Luna è spaventata erespinge inizialmente quelle domande ed emozioniche comincia ad avvertire. Ilregista Carlo Chiaramonte, co-sceneggiatore insieme a Carla Scicchitano, Elma Tataragić e Asja Krsmanović, provenendo da lavori documentaristici, mostra un approccio molto realistico rispetto alla situazione presente, non solo nella ripresa degli ambienti (direttore della fotografia Beppe Gallo; scenografia curata da Marco Dentici), ma ancor più nel racconto delle relazioni e del “sistema” sociale e familiare. È necessario, per esempio, un episodio che compie Nermin per cogliere come la sorella maggiore rispetti la sua richiesta (seppur posta con tono minaccioso) di non rivelare l’accaduto alla famiglia e adotti un atteggiamento protettivo. Dall’altro lato lui non ricambia il gesto fraterno, anzi. E questo è sintomo anche di unaforma mentis molto patriarcaledi predominanza, in qualsiasi tipo di rapporto dell’uomo sulla donna. In questa circostanza si rivela fondamentale l’amicizia tra Luna e Selma (Amila Terzimehic), compagna di studi, la quale, pur essendo molto devota nella sua fede musulmana – aspetto essenziale, stupirà per la reazione umana – non riesce a stare ferma conscia dei pericoli che sta vivendo una donna. «Il mio personale rapporto con la capitale bosniaca è forte, profondo e di lunga data: la mia prima volta in città fu nel marzo 1996, appena pochi mesi dopo la fine della guerra», ha raccontato Chiaramonte aggiungendo come «nel maggio del 2011, poco prima di partire per Sarajevo,avevo avuto una lunga conversazione con una giovane amicache stava attraversando una sorta di tragedia familiare perché i suoi genitori, fino ad allora all’oscuro della sua omosessualità,avevano appena scoperto la suarelazione lesbicacon una ragazza». «Così – continua – mentre a Sarajevo passavo per la principale strada pedonale del centro sempre affollata di ragazzi a passeggio, la visione per me ormai consueta, ma sempre affascinante, di una coppia di giovani amiche che procedevano sotto braccio, l’una velata secondo tradizione islamica e l’altra vestita “all’occidentale” in maniera persino provocante, mi ha colpito in modo del tutto nuovo». Questo esordio nel lungometraggio fa riflettere suidiritti delle donnein generale e, specificatamente, in alcune zone; su quanto sia difficile concedersi la possibilità diessere in primis liberə, di come la violenza fisica e psicologica possano essere le prime armi per togliere la dignità di essere umano e come ciò spesso provenga da chi è maggiormente vicino.
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