Simon Edelstenè uno stimato investitore e gestisce, tra l’altro, il fondo Artemis Global Select. Ilsuo maestroè stato un mito della City come Nils Taube, finanziere estone collega di George Soros e consulente di Lord Rothschild, che con il suo fondo ha realizzato un ritorno medio annuo sugli investimenti del 15% per 35 anni. Edelsten, che è spessoin testa alle classifiche dei rendimentifinanziarisecondo Portfolio Adviser, decide i suoi investimenti in relazione ai “temi” che pensa caratterizzino le prospettive dell’economia. I suoi “temi” sono quadri interpretativi, narrative, storie che servono aipotizzare le conseguenze delle tendenze attualie dunque a discernere le migliori opportunità di investimento. Fino a qualche tempo fa, nelmondo deimedia, i temi importanti erano relativi alle tendenze che guidavano il successo dei film, deilibrio della musica, e servivano a comprendere quali aziende stavano sviluppando linee editoriali più promettenti. Ma oggi, dice Edelsten, letendenze dei medianon sono scritte dai contenuti ma dai contenitori: il “tema” attuale dei media èil tempo che le persone passano davanti agli schermi. Il tempo.Non la qualità della conoscenzacui accedono. Negli ultimi dieci anni, il valore del lavoro editoriale è stato superato dallefunzioni delle piattaformeche aggregano miliardi di utenti ed enormi quantità di opere autoriali prodotte spesso dal pubblico stesso, classificandole e proponendole in un ordine deciso daalgoritmi e interfacceche filtrano la quantità diinformazione, personalizzandone la fruizione. Ma bisogna ammettere che questo non svela molto sul futuro: piuttosto è la descrizione di quello che è accaduto negli ultimi dieci, quindici anni. Ma checosa succederànei prossimi quindici anni? Proprio a causa del loro immenso successo, le grandi piattaforme mediatiche si sono trasformate in enormicentri di potere.E, come era prevedibile, si è scatenata una battaglia per il loro controllo. Una battaglia tra potentissimi uomini d’affari. Ma anchetra autorità politichedi alto livello internazionale. La vicenda di Twitter eElon Muskè emblematica. L’imprenditore ha pensato di poterconquistare il controllodi uno dei luoghi essenziali per il dibattito pubblico in Occidente: la piattaforma che per prima ha zittito il presidente degli Stati Uniti che incitava il popolo alla rivolta contro le istituzioni democratiche. E Musk ci ha pensato con l’idea diriaprire le porte della piattaformaa Donald Trump, in nome di una bizzarra idea di “libertà di espressione”. Salvo poi accorgersi di non avere i soldi che aveva promesso per farlo, a meno di non volerne sprecare una quantità troppo grande anche per l’uomo più ricco del mondo. Che Musk finisca per decidere di prendersi Twitter o no, l’imprenditore dovrà comunque rendersi conto del fatto che quel centro di potere non sarà più lo stesso quando entrerà in vigore ilDigital Services Actdell’Unione Europea. Il paradigma dell’autoregolamentazione si trasformerà dico-regolamentazionecon le autorità europee. Il potere di quella piattaforma non sarà più assoluto. A proposito: Musk si era proclamato un“assolutista dellalibertà di espressione”(qualunque cosa questo significhi), ma ha dovuto ammettere che il suo assolutismo doveva essere relativo alle leggi dei vari Stati. E in un interessante sviluppo, appunto, le leggi europee – con la loro influenza sulle leggi globali – renderanno relativo anche il potere delle piattaforme. Tutto questo è importante per comprendere glisviluppi del potere delle piattaforme,cioè degli strumenti di maggior valore del mondo dei media. Resta da comprendere se tutto questo abiliterà un miglioramento della qualità nell’informazione disponibile per il dibattito pubblico nei media digitali. Si può ipotizzare che questo avverrà solo se si assisterà a unariduzione della centralizzazione del trafficosu internet e a unafioritura di alternative.Fondate su modelli di business e di partecipazione profondamente diversi.
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