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Bio, compostabile o biodegradabile: di che plastica parliamo

 

Biodegradabile, bio o compostabile? Questo è il dilemma. Soprattutto se tali aggettivi si riferiscono a un materiale sempre più presente nella nostra quotidianità. Laplastica. Nel report “Altro che compost!”, Greenpeace ha voluto fare il punto su questo problema che, come tanti altri, è innanzitutto terminologico, come vedremo a breve. L’organizzazione ambientalista ha spiegato che il nostro Paese è tra i pochi in Europa a conferire iprodotti in plastica compostabile nell’umido. Nel resto del Vecchio Continente, invece, finiscono direttamente nell’indifferenziato. Il problema nostrano è, però, che oltre la metà (leggendo i dati Greenpeace, il 63%) dellafrazione organicaconfluisce in impianti che spesso non scompongono e degradano la plastica compostabile. La quota restante finisce nei siti di compostaggio “dove non è detto che la plastica compostabile resti il tempo necessario a degradarsi”, si legge nel report. “Nessun consumatore, prima di metterli nel bidone dell’umido, sa che sarebbe opportuno tagliare i prodotti in plastica compostabile delle dimensioni necessarie arenderli effettivamente compostabili secondo i test di laboratorio”, spiega Greenpeace. I test di laboratorio, per misurare la compostabilità della plastica, ipotizzando chequesta costituisca l’1% del rifiuto umido. Tuttavia, suggerisce il report, l’ultimo studio CIC-Corepla ha mostrato che nel 2020 l’incidenza della plastica “green” nella raccolta dell’organico era diquasi 4 volte maggiore(3,7% nel 2020). E arriviamo così alla questione terminologica. Come ha spiegato ai microfoni della Svolta il giornalista ambientale Franco Borgogno, il concetto di “plastica bio” non dice poi molto. Questa espressione, infatti, fornisce informazioni unicamente sull’origine di questo materiale che, in tal caso, può riguardare il mondo vegetale, a esempio l’amido, oli vegetali, grano o canna da zucchero. «Questa nomenclatura, però, non fornisce dettagli sul futuro del prodotto una volta che non ci serve più e vogliamo disfarcene», spiega Borgogno. Tuttavia, rispetto alle plastiche tradizionali, quelle bio sono considerate una alternativa meno impattante dal punto di vista ambientale perché la loro produzione prevede unaminore quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera. Arrivati a questo punto il nostro sguardo deve spostarsi sullaplastica biodegradabile oppure compostabile. «Entrambe sono interessanti, dal punto di vista ambientale. Nel primo caso, il riferimento è a un materiale che si biodegrada nell’ambiente grazie agliagenti atmosferici. Al momento, le plastiche di questo tipo sono pochissime. E se il loro processo di biodegradazione è lungo,il problema dell’inquinamento rimane», continua Borgogno. Nello specifico, e lo spiega approfonditamente anche Greenpeace nel suo report, biodegradabile è quel prodotto che si degrada inanidride carbonica, acqua e biomassa, grazie e in virtù dell’azione di microrganismi, in un ambiente in cui è presente l’ossigeno. La plastica compostabile, invece, spesso proposta comesoluzione a impatto zero, perché in grado di scomporsi se conferita in specificiimpianti industriale di compostaggio, si riferisce a un materiale che, durante un processo di compostaggio, viene decomposto “senza creare ostacoli nell’impianto di trattamento esenza influire negativamente sulla qualità del compost finale”. La plastica compostabile, dunque, ha bisogno di uno specifico impianto industriale per decomporsi. Tuttavia, per essere definito biodegradabile e compostabile, un prodotto deve superare innanzitutto due test.Uno di biodegradabilità, per il quale deve degradarsi almeno del 90% entro 6 mesi, in un ambiente ricco di anidride carbonica. E poiuno di disintegrazione: dopo 12 settimane a contatto con materiali organici, il prodotto deve essere frammentato, per il 90%, in parti dalle dimensioni inferiori ai 2 mm

Redazione

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