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Cosa fanno i big della moda low cost per essere green?

 

Le pratiche sostenibili si stanno facendo largo nel settore dell’abbigliamento. Pochi giorni faInditex, il gruppo globale di vendita al dettaglio di moda composto da sette marchi – Zara, Pull&Bear, Massimo Dutti, Bershka, Stradivarius, Oysho e Zara Home – ha firmato unimpegno triennaleda oltre100 milioni di europer l’acquisto di unafibra tessile riciclata. Si tratta di una collaborazione conInfinited Fiber Company, gruppo finlandese di tecnologia tessile che trasforma gli abiti di scarto ricchi di cotone inInfinna™, una fibra ricavata dagli scarti degli abiti, biodegradabile, priva di microplastiche e, per questo, riciclabile. La differenza con il cotone quasi non si percepisce, visti aspetto e consistenza morbida e naturale simile al cugino ricavato dalla bambagia. Al centro di questa partnership c’è l’impegno triennale di Inditex (il cui utile netto, nel 2021, ha segnato un+ 193%rispetto all’anno precedente, con 3,24 miliardi di euro), ad acquistare il 30% della produzione annuale di Infinna™. Per l’occasioneZaraha lanciato unacapsulecollection – ovvero una piccola collezione in edizione limitata – “realizzata per il 60% con fibra prodotta da rifiuti tessili riciclati, la maggior parte provenienti dal nostro programma di raccolta di indumenti”. A marzo l’associazione nazionale dei costruttori italiani di tecnologie per calzature, pelletteria e conceria avevaspiegatoche la domanda da parte dei marchi che richiedono la fibra Infinna era 5 volte superiore alla capacità della struttura esistente. “Si prevede che la prima fabbrica di Infinited Fiber con una capacità tale da svolgere queste operazioni in scala raggiungerà la piena produttività entro il 2025”,spiegain questi giorni Zara. Inditex, che punta a raggiungere la neutralità climatica entro il 2040, ha seguito la scia di altre grandi aziende che hanno scelto di collaborare con Infinited Fiber Company:Adidas, Patagonia, H&M Group,Zalando, Wrangler, e molte altre. Segno che le aziende del settore moda si stanno interessando sempre di più ad avviare percorsi di sostenibilità. Lo spiega allaSvoltaFrancesca Romana Rinaldi, professoressa all’Università Bocconi e direttrice delMonitor for Circular FashionallaSDA Bocconi School of Management. «Oggi la sostenibilità è diventatacool, quindi il rischio digreenwashing(ovvero la spennellata verde che non prevede un ripensamento dei processi aziendali verso la sostenibilità) è ancora più elevato». Questo aspetto riguarda, in particolare,i grandi marchi difast fashion: «Il futuro del settore moda verso la sostenibilità sarà sempre più accelerato dalla transizione circolare. La scarsità delle risorse rappresenta certamente un problema prioritario per il settore moda: ilCircularEconomy Action Planparte da questa consapevolezza e spinge le aziende a considerare i rifiuti come risorse», spiega Rinaldi. Anche nelPiano Nazionale di Ripresa e Resilienzasono stati assegnati «150 milioni di euroalla realizzazione di “TextileHub” per lo sviluppo di tecnologie evolute di riciclo tessile: una grande opportunità per la circolarità del settore moda deriva dalla possibilità ditrasformare i rifiutipre-consumer epost-consumerin nuove materie prime da reintrodurre in nuovi cicli produttivi». Rinaldi, che è consulente sui temi della sostenibilità, circolarità, trasparenza e tracciabilità per aziende e istituzioni, racconta che l’attenzione a queste tematiche riguarda anche gli stessi consumatori, «soprattutto quelli dellenuove generazioni, molto attente a queste tematiche, che vogliono sapere cosa c’è dietro al prodotto per fare delle scelte informate». Per evitare di deluderle e rischiare di essere considerati deigreenwashers, la tracciabilità di filiera e il racconto trasparente della stessa sono un buon punto di partenza, per esempio. «È in questa direzione che va il progetto dellaCommissione Economica per l’Europa delle Nazioni UniteTheSustainabilityPledge,che chiede di aderire con un impegno concreto alla loro call to action (c’èun formda compilare,ndr)». Si tratta di una serie di raccomandazioni politiche, linee guida e standard che consentono agli attori del settore di autenticare le proprie affermazioni sulla sostenibilità. In questo scenario anche i governi sono chiamati a dare maggiori certezze ai consumatori e agli altri attori della filiera: secondo Rinaldi, «partendo da uno standard ditrasparenza e tracciabilitàsarà possibile avere criteri certi per incentivare le aziende del tessile, abbigliamento e calzature. a esempio, dando un supporto all’innovazione tecnologica, alle infrastrutture, ai progetti pilota per la sostenibilità, agli appalti pubblici sostenibili e più visibilità allebest practices». Alcuni brand di moda, per esempio, hanno introdottoil reso a pagamentoper i prodotti acquistati online: se un capo non soddisfa il cliente, il rinvio in negozio non sarà più gratuito. Sonomoltissimele persone che, non conoscendone l’impatto ambientale, acquistano già sapendo che restituiranno molti dei capi ricevuti. «Il boom dell’e-commercedurante la pandemia ha visto anche l’impennata dei resi. Se è vero che la logistica di ritorno (l’insieme di pratiche e processi destinati a gestire i resi e il rientro dei prodotti dai punti vendita al produttore per eseguirne la riparazione, il riciclaggio o lo smaltimento al minor costo possibile,ndr) è necessaria a estendere il ciclo di vita dei prodotti, è anche vero che se non si utilizzano dellepratiche digreenlogistics, come l’uso di fonti di energia rinnovabili e l’intermodalità, o packaging sostenibile, allora il maggiore impatto ambientale è inevitabile». Per ridurre le pratiche di reso, secondo Rinaldi, «la prima soluzione è quella dieducare i consumatoria valutare con più attenzione gli acquisti online, magari disincentivando il reso chiedendo spiegazioni obbligatorie o addirittura prevedendo un pagamento». Si tratta diriconsiderareil significato di qualità, «facendo perno sulla trasparenza nella tracciabilità della filiera, fornendo garanzie sull’utilizzo di materie prime e processi produttivi rispettosi dell’ambiente e delle persone». Qualità, per Rinaldi, include anche il concetto didurevolezza: «Le aziende responsabili hanno il dovere di estendere la vita del prodotto non solo partendo dall’utilizzo di materie prime di qualità, ma anche offrendo servizi di riparazione, consigli per la manutenzione per arrivare alle alternative all’acquisto, ovvero il cosiddetto consumo collaborativo (l’affitto dei vestiti, per esempio, o l’acquisto di abiti di seconda mano)». È di questo che parla il libro in uscita della professoressa Rinaldi, “L’impresa moda responsabile” (Edizioni Egea): «Nell’era della “modernità liquida” cambiano i paradigmi del consumo e i modelli di business, trasformazioni accelerate fortemente dall’impatto della pandemia sulle catene del valore. Questa rivoluzione riguarda anche il mondo della moda, sia nelle dinamiche di produzione e distribuzione sia nell’atteggiamento del consumatore, sempre più attento all’acquisto responsabile, rispettoso dell’ambiente e della sostenibilità – economica, ecologica ed etica – della filiera», spiega Rinaldi. Illibro, già nel 2013 – questa sarà una nuova edizione aggiornata -, aveva illustrato alcune primebuone pratiche di aziende responsabili: «a distanza di quasi un decennio, gli autori condividono il risultato di un attento monitoraggio dell’evoluzione delle catene del valore sostenibili e della rapida trasformazione verso i modelli circolari, con dati aggiornati sulle normative di recente approvazione in vigore nella legislazione europea, nuovi casi aziendali, un focus sulla tracciabilità, la trasparenza e la circolarità dei processi produttivi, distributivi e di consumo». Il corso online e on-demand diCircularFashion Managementdella SDA Bocconi School of Management che Francesca Romana Rinaldi presiede – in partenza a giugno 2022 -, spiega «l’ampia varietà dei modelli circolari, dall’utilizzo di risorse circolari, all’estensione della vita dei capi tramite la modularità, i servizi di riparazione, la seconda mano, la gestione del fine vita attraversorecycling, upcycling edowncycling». Senza scordare l’importanza della tracciabilità e della trasparenza di filiera come fattori per accelerare la sostenibilità e la circolarità nel settore moda.

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