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“Chiamami così”: l’inno alla diversità di Vera Gheno

 

SecondoVera Gheno(sociolinguista, traduttrice e divulgatrice) la realtà è mutevole, da sempre in continuo cambiamento. E così, per stare al passo, è necessario che anche le parole cambino e si adeguino alla diversità che contraddistingue il nostro mondo. Nel suo nuovo libroChiamami così. Normalità, diversità e tutte le parole nel mezzo(pubblicato daIl Margine, marchio editoriale di Edizioni Centro Studi Erickson) Gheno cerca di fare il punto al riguardo. Non è vero che siamo tuttəuguali:quindi, perché generalizzare il linguaggio? Identità di genere, sesso biologico, orientamento sessuale,disabilitàma anche età, peso e soldi: questi sono tutti elementi che rendono le persone diverse, ma non in senso dispregiativo.La diversità è ricchezzae deve essere nominata con legiuste parole: solo in questo modo siamo in grado di renderla reale, concreta e raccontabile. Nel suo libro la sociolinguista non vuole solo far riflettere ə lettorə sul potere delle parole, ma anche sul concetto diinclusivitàche, erroneamente, si pensa sia il punto di arrivo di tutta la questione. In realtà, è ilpunto di partenza. L’atto di includere prevede che una persona accolga un’altra all’interno della sua cerchia di “normalità”, andando così a differenziare chi include da chi invece èinclusə. Non è meglio, si chiede Gheno, parlare diconvivenza delle(e non con)differenze? Perché tuttə, per un motivo o per un altro, siamo diversə tra noi e questo è un vantaggio, una risorsa, non un problema. Ma solo adoperando i giusti termini si puòcelebrare questo valore, stando al passo con il mondo mutevole e rendendolo allo stesso tempo piùricco ed equo. Come spiega ancheFabrizio Acanforanella sua presentazione diChiamami così, la diversità non deve essere sinonimo di “comparazione” ma di “varietà”, di una ricchezza che passa anche per il linguaggio. Le parole, se non utilizzate con sensibilità, sono capaci dietichettarele cose e le persone, diescluderlee stigmatizzarle. Ma, allo stesso tempo, hanno anche il potere di rappresentare e includere “l’altro”. Dipende tutto da quanto le persone sono disposte amettere in discussioneil proprio punto di vista. C’è chi ribatte“Ho sempre detto così”a mo’ di giustificazione. Secondo l’autrice, questo atteggiamento è lospecchio della società: viviamo in una società androcentrica e, di conseguenza, anche il nostro linguaggio è androcentrico. C’è poi chi riconosce ladiversitàe decide di traslarla nelle parole, a voltecommettendo errorima anche imparando da questi. Quindi tutto ciò basta? Alle parole devonoseguire le azionie un cambiamento culturale: «Per dare voce alla diversità, il primo passo è garantirle spazi di parola», scrive Gheno. Per la sociolinguista, rapportarsi alle differenze vuol dire anchedar vocea chi può raccontare la diversità; a tuttə coloro che, lontanə dal privilegio di essere un uomo bianco cisgender eterosessuale non disabile, possono spiegare come sentirsirappresentatə con le parole. Chiamami cosìè uninno alla diversità, alla solidarietà, alle parole e alla bellezza delcambiamento continuo; alla capacità di ognunə di mettersi in discussione e diempatizzarecon l’altrə. Non perché è diversə da qualcunə, ma perchésiamotuttədiversə tra noi. E la diversità arricchisce.

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