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Il climate change è portatore di nuovi virus?

 

Torna sul banco degli imputatiil cambiamento climatico. Insieme a uno dei possibili effetti che porta con sé. Il divampare dinuove pandemie. Loscambio di virustra specie animali sembra essere direttamente collegato all’aumento della temperatura terrestre, e a tutte le conseguenze che ne derivano. Lo attestaun nuovo studio, pubblicato suNature, nel quale si prevede che entro i prossimi50 annigli effetti dellacrisi climaticapotrebbero indurre oltre15.000scambi di virus tra mammiferi. Questo perché il climate change comporterà un mutamento spaziale degli habitat della fauna selvatica, incrementando gli incontri tra specie e dunque la possibilità ditrasmettere agenti patogeni. Lo studio, tra i primi a quantificare quante volte potrà verificarsi unospillover,da una parte avverte che l’esplosione di piùfocolairappresenterebbe una seria minaccia per la salute umana e animale, dall’altra cerca di fornire ai governi e alle organizzazioni sanitarie un motivo in più per investire nellasorveglianzadei patogeni e nel miglioramento delle infrastrutture sanitarie. «Questo lavoro ci fornisce prove più incontrovertibili sul fatto che i prossimi decenni non saranno solopiù caldi, ma anchepiù malati» afferma Gregory Albery, ecologista delle malattie presso la Georgetown University di Washington DC e coautore dello studio. Per fare le loro previsioni, per 5 anni Albery e i colleghi hanno combinatomodelli di trasmissione del virusedistribuzione delle speciein vari scenari di cambiamento climatico, concentrandosi sui mammiferi per la loro rilevanza per la salute umana. Il modello di trasmissione del virus prevede la probabilità che un virussalti tra le specie per la prima volta, analizzando dove le specie potrebbero incontrarsi quando i loro habitat muteranno e quanto siano strettamente correlate dal punto di vista evolutivo. Infatti, si legge nello studio, è più probabile che i virus si trasmettanotra specie correlate. La ricerca prevede che gran parte della nuova trasmissione del virus avverrà quando le specie si incontreranno per la prima voltamentre si spostano in luoghi più freddi. Secondo gli autori dello studio, questo accadrà più spesso ad alta quota negliecosistemi ricchi di specie, in particolare nelle aree dell‘Africa e dell’Asia, e in aree densamente popolate da esseri umani, tra cui la regione africana delSahel, l’India e l’Indonesia. Supponendo che il surriscaldamento del Pianeta si mantengaentro i +2 °Crispetto al periodo preindustriale, il numero di inediti incontri tra le specie raddoppierà entro il 2070. In tutto questo, ipipistrellipotrebbero essere i protagonisti di questo quadro a tinte fosche. Notiserbatoi di virus, costituiscono circail 20% dei mammiferie, in parte perché in grado di volare, hanno meno probabilità di incontrare ostacoli allo spostamento dei loro habitat. Ad oggi rimane però difficile ipotizzare leconseguenze dirette sulla salute umana. «Prevedere il rischio disalti viralidai mammiferi all’uomo è più complicato, poiché queste ricadute si verificano in un complesso ambiente socioeconomico, ecologico e umano», ha spiegato Kate Jones, esperta di modelli che analizzano le interazioni tra ecosistemi e salute umana all’University College di Londra. Tuttavia, i ricercatori esortano a nonperdere tempo: il Pianeta si è già riscaldato di oltre 1 °C rispetto al periodo preindustriali e questo sta guidando la migrazione delle specie. Dunque anche lo scambio di malattie. Proprio per questo, i ricercatori chiedono ai governi e alla comunità internazionale dimigliorare il monitoraggioe la sorveglianza degli animali selvatici e delle malattie zoonotiche, in particolare nei futuri hotspot come il sud-est asiatico. Per lo stesso motivo, lo stop alla deforestazione sarà strategie indispensabile a scongiurare il peggio.

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