Luci soffuse, ambienti scuri, musica a volume altissimo, profumo muschiato e un modello atletico e seminudo all’ingresso. Vi dice qualcosa? Avete indovinato, stiamo parlando diAbercrombie&Fitch. Il famoso brand americano con il logo a forma di alce era sbarcatoper la prima volta in Italia, nel 2009, a Milanocon l’apertura di un grande store in Corso Vittorio Emanuele. La mania delle felpe e delle magliette firmate Abercrombieera dilagata in quegli anni anche qui, con un po’ di ritardo rispetto al fenomeno negli USA. “White Hot: L’ascesa e la caduta di Abercrombie & Fitch”, il documentario targato Netflix, diretto daAlison Klayman, ripercorre la scalata verso il successo del brand negli anni ‘90 e il suo declino nei decenni successivi. La casa di moda di Abercrombie & Fitch era nata in realtà molto prima,sul finire dell’800, comemarchio di abbigliamento escursionisticoper poi trasformarsi un secolo doponella catena di casualwearche tutti conosciamo. Come osservaRobin Givhan, il giornalista del Washington Post, intervistato nel lungometraggio di 88 minuti, il boom di Abercrombie è stato frutto di una felice combinazione tra “il sex appeal di Calvin Klein e lo stile preppy ed elitario di Ralph Lauren”, ma a prezzi notevolmente più convenienti di entrambi. Un brand che, non a caso, si era diffuso soprattuttonei college e nei campus americani, dove indossare un capo Ambercrombie & Fitch era ben presto diventatosinonimo di successo e popolarità, tanto che nel 1999 Rich Cronin dei Lyte Funkie Ones intonava “Mi piacciono le ragazze che vestono Abercrombie & Fitch” nella canzoneSummer Girls. Dietro l’opera di restyling della casa di moda, tutta voltaad esaltare lo stereotipo della “tipica bellezza americana”, c’era l’amministratore delegatoMike Jeffries: che voleva non solo ragazze magrissime e sensuali, ma anche e soprattutto ragazzi alti, muscolosi e rigorosamente bianchi. Un’immagine precisa, patinata e irrealistica, catturata con abilità dalfotografo ufficiale Bruce Weber, denunciato poi per molestie sessuali dagli stessi modelli, ma mai condannato. L’ossessione di Mike Jeffries per quella bellezza “all american” si traduceva poi nellalunga lista di criteri di assunzionedei commessi nei negozi,scelti principalmente in base all’aspetto fisico,con tanto di caselle valutative e una scala di gradimento che andava da “cool” a “rocks”. Ma, qui arriva la parte più inquietante. Il documentario, infatti,denuncia la policy discriminatoriasia nei confronti dei dipendenti, sia nei confronti dei clienti. Per quanto riguarda i primi,i pochi commessi non caucasici (solo il 10%), venivano relegati ai turni serali o alle mansioni più umili. Tuttavia, l’atteggiamento escludente si rivolgeva anche alla clientela, con una serie di scelte aziendali che oggi sarebbero impensabili: per esempio,proponendo taglie che non includevano le persone plus size.Per non parlare poi dellemagliette umoristiche a sfondo razzistaandate a ruba che suscitarono a più riprese ondate di proteste tra gli studenti appartenenti a minoranze etniche. Nei primi anni 2000, vennero avviate una serie diclass actionda parte di impiegati licenziati ingiustamente e associazioni che si occupano di disturbi alimentari, arrivando persino auna sentenza della Corte suprema americanache definì le politiche di assunzioni di Abercrombie incostituzionali. Ciò che forse stupisce di più è lasfacciatagginecon cui il brand applicava la propriapolitica discriminatoria. In un’intervista del 2006 pubblicata suSalon,poi rimbalzata ovunque, dalle pagine dei giornali ai salotti televisivi, lo stesso Jeffries aveva ribadito con convinzione e senza mezzi termini che la casa di moda americananon intendeva rivolgersi a tutti, che si trattava di una scelta imprenditoriale volutamenteescludente. Non che fosse l’unico brand aprediligere taglie esigue, modelli aderenti e ideali di bellezza inarrivabili,ma sicuramente quello più smaccatamente discriminatorio. A guardare il sito del negozio oggi, non sembrerebbe: tutto ripulito, all’insegna della diversità e dell’inclusione. In apertura campeggia la frase“This is Abercrombie Today”, quasi a suggerire,come fa notare la CNN, che il passato del brand sia stato molto diverso.
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