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Una pericolosa giornata di guerra in tv

 

Abbiamo confinato la guerra in televisione? Sì, ma non perché sia fiction. Perché dall’alba del 24 febbraio a questa parte, non si parla di altro sul piccolo schermo. E non sempre nella maniera giusta. Il rischio di raccontare costantemente un conflitto, se non si è preparati, è diiper-semplificarlo, di andare a scovare quei racconti utili solo alla pornografia del dolore, di sottoporre le persone a un martellamento che non farà altro che allontanarle da una copertura h24. La narrazione del conflitto sui media italiani è andata spesso verso laspettacolarizzazione, confondendo il piano dell’informazione con quello dell’esibizione.Come ha spiegato al fattoquotidiano.it Alberto Negri, per trent’anni corrispondente delSole 24Oreda Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani, «questa guerra è l’occasione per molti giovani giornalisti di farsi conoscere, e alcuni di loro producono materiali davvero straordinari. […] Poi ci sono i commentatori seduti sul sofà, che sentenziano su tutto lo scibile umano e non aiutano a capire nulla, ma confondono solo le acque». Il primo caso potrebbe fare riferimento al lavoro diCecilia Sala, una delle prime giornaliste italiane a riportare le voci dal fronte di guerra in Ucraina e coprire il conflitto attraverso ilpodcastper Chora Media, la storytelling company italiana fondata nel 2020 e guidata dal giornalista Mario Calabresi. Così comeValerio Nicolosi, che ha registrato i suoni delle sirene antiaeree dai bunker di Kyiv per la rivista di approfondimento culturale e politico MicroMega. Inoltre, mai prima d’ora i media avevano inseguito tanto isocial network. Prima per condividere i video del premier ucraino, Volodymyr Zelensky, che da Kyiv tranquillizzava il suo popolo, spaventato dalla propaganda russa che dava per morto il loro leader. E poi per pubblicare foto e video dal fronte, soprattutto suTwitter e Instagram. Piattaforme che rendono complessa laverifica delle fonti, soprattutto nei tempi rapidi della guerra, cosa che ha portato molti quotidiani e giornalisti a condividere senza esitazione notizie ancora da confermare. Piattaforme che non filtrano neanche le atrocità delle forze armate russe che avrebbero fatto strage di civili, il 31 marzo, a Buča: le immagini dei cadaveri per la strada sono apparse ovunque, anche sulle prime pagine deigiornali italiani. Corpi senza vita con mani e piedi legati a pochi passi dalle proprie case, bambini ammassati agli angoli delle strade. Sono foto stampate a colori su cellulosa, disponibili 24 ore su 24 suisiti dei maggiori quotidiani nazionali e internazionali. Immagini che verranno custodite per sempre dalla Rete. Ma anche prove delle violenze che avrebbe commesso la Russia che, però, negherebbe tutto e parlerebbe di fake news. Ma la vera protagonista è la televisione, sia per l’immediatezza dell’informazione che per la possibilità di mostrare direttamente ciò che accade e non affidarsi più esclusivamente alle parole degli inviati, anche se sul campo. Molti canali tv sono diventati simili a quelli diallnews, con un palinsesto dedicato quasi interamente alla guerra- è il caso di La7, che già il 21 febbraio aveva mandato in onda uno speciale del TgLa7 dedicato alla situazione di tensione in Ucraina e il documentarioHerzog incontra Gorbacev. E sono note le maratone del direttore del Tg della rete di Urbano Cairo, Enrico Mentana, che non sono mancate neanche stavolta. Ed è proprio questo canale ad aver mandato in onda per primo in Italia, il 4 aprile,la serie televisiva del 2015 che ha reso famoso il premierVolodymyr Zelensky quando era attore,Servantof the people, in cui il protagonista – proprio lui, il presidente ucraino, che ne è anche ideatore e regista -, è un professore di matematica che, dopo un video divenuto virale in cui critica i leader del Paese, viene eletto al loro posto. La fiction ha superato la realtà. Inoltre lo sceneggiatore della serie, Yuriy Kostyuk, avrebbe oggi un ruolo di rilevanza nella strategia comunicativa del presidente. Il comico e attore ha deciso di candidarsi alle elezioni in Ucraina proprio dopo essersi dedicato per tre anni a questo programma satirico, ricevendo oltre il 70% dei voti al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2019, forte della fama conquistata con lo show:NetflixUsl’ha reso nuovamente disponibile in Americaproprio nel giorno in cui il leader ucraino si è collegato in diretta con il Congresso americano, il 16 marzo – l’ha fatto anche con il Parlamento italiano, con quello britannico e con il Bundestag tedesco. Il secondo caso di cui parlavamo, quello deicommentatori non necessari, potrebbe riferirsi al passaggio radicale dai talk show incentrati sul Covid-19 – con virologi esperti, virologi improvvisati e virologi presunti – a trasmissioni piene di strateghi militari e intenditori di geopolitica (non sempre massimi conoscitori del conflitto, s’intende). O di giornalisti concentrati più su produzioni che vogliono intrattenere, piuttosto che informare. E cosìLucio Caracciolo, fondatore e direttore della rivista di geopolitica Limes, è diventato un ospite quasi fisso dalla giornalista Lilli Gruber, alla trasmissioneOtto e Mezzo, per spiegare con competenza ciò che molti opinionisti ignorano. E dall’altra parte, invece, c’è chi comeMassimo Giletti, inviato a Odessa per la trasmissioneNon è l’Arena, preferisce la spettacolarizzazione: invitato dagli addetti alla sicurezza a rientrare nell’albergo a causa delle sirene antiaereo, ha continuato la diretta tranquillizzando lo studio. «Don’t worry, be happy», ha detto. Come hascrittoJack Shafer, senior media writer del quotidiano americano Politico,i giornalisti non sono gli unici che “amano” la guerra, anche perché è un prodotto che “vende”- come spiega il giornale, l’audience settimanale del sito web della BBC in Russia è aumentata del 252% durante la prima settimana di guerra e gli ascolti delle americane Fox News Channel, MSNBC e CNN sono aumentate di quasi il 50 percento nello stesso periodo -: «Parte del fascino della guerra in Ucraina, sia per i giornalisti che per il pubblico dei telegiornali, è che quelle linee sono nette, permettono al pubblico di rispondere emotivamente alla rappresentazione di eroi e cattivi creata dal conflitto.I giornalisti possono amare la guerra, è vero, ma questo vale anche per il pubblico». Per tutti gli altri? È tempo di una sana pausa dalla televisione.

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