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Lunga vita agli abiti!

 

Soffia un vento nuovo nel mondo della moda, ed è sempre menofast fashion.Dopo anni in cui l’approccio allo shopping è stato quello di accumulare capi realizzati in serie, di scarsa qualità e venduti a pochi euro con la consapevolezza che non sarebbero durati in eterno,oggi si fanno largo due trend che mettono al centro la sostenibilità: il vintage e il second hand. A trainarli sono principalmente i consumatori giovani alla ricerca di abiti originali, dal prezzo accessibile e dall’impatto ambientale limitato. Una rivoluzione green che sta colpendo (e non poco) l’industria tradizionale della moda che solo ora, e con notevole ritardo, sembra iniziare a correre ai ripari. A dare l’accelerata a questo processo potrebbe essere l’Europa. È di questi giorni, infatti, la presentazione da parte della Commissione Ue di unpacchetto di proposte delGreen Dealper rendere i prodottipiù sostenibili,promuoveremodelli di business circolarie responsabilizzare i consumatori versola transizione verde. In particolare, si chiede una nuova strategia per fare in modo chei tessili siano più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili, percontrastare il fast fashion, limitare la distruzione dei tessili invenduti e garantire che la loro produzione avvenga nel pienorispetto deidiritti sociali. Secondo una ricerca pubblicata dallaEllen MacArthur Foundation, un’organizzazione che sostiene la crescita dell’economia circolare, negli ultimi decenni la quantità di vestiti prodotti è cresciuta ma contemporaneamente i margini di profitto si sono ridotti e l’impatto sull’ambiente è aumentato.Tra il 2000 e il 2015 la produzione di abbigliamento è raddoppiata, mentre il numero di volte in cui un capo viene indossato prima di essere gettato è diminuito del 36%. Questa tendenza ha portato il comparto a produrre a livello globale circa2,1 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra nel 2018, il 4% del totale, e a causa dei prezzi sempre più bassi e della perdita di entrate, a vedere diminuiti i margini di profitto in media del 40% dal 2016 al 2019 e, soprattutto a causa della pandemia, del 90% nel 2020 rispetto all’anno precedente. È andata molto diversamente, invece, alle aziende che hanno sposatomodelli di business green oriented. Dal 2019,sette piattaforme di rivendita e noleggio abiti, Depop, Rent the Runway, The Real Real, Vinted, Poshmark, Vestiaire Collective e ThredUP,hanno raggiunto valutazioni miliardariee sviluppato il potenziale per crescere dall’attuale 3,5% del mercato globale della moda al 23% entro il 2030, fornendo al contempo significativi risparmi ambientali. Nonostante abbiano il merito di basarsi sul riciclo, per molte di loro tuttavianon è sempre chiaro se il modello di business sposato sia eco-friendly al 100%. Tra gli esempi più virtuosi spicca quello diVestiaire Collective, app di rivendita di capipre-lovedprincipalmente di lusso ma non solo, che promuovendo il concetto di moda circolare come alternativa alla sovrapproduzione e al consumo eccessivo, è arrivata ad avere oggi più di15 milioni di utentiiscritti in tutto il mondo e 3 milioni di articoli provenienti da più di 80 Paesi. A settembre 2021 è stata la prima app di moda second hand a ottenere lacertificazione B Corp, che la qualifica comesocietà benefite ne riconosce l’impegno nel mantenimento dei più elevati standard sociali e ambientali Un attestato in linea con i valori dell’azienda che punta entro i prossimi anni a diminuire ulteriormente il proprio impatto sul Pianeta. È di questi giorni, inoltre, la sua nuova campagna “Lunga vita alla moda”, che incoraggia attivamente gli appassionati di moda a contribuire a un futuro più sostenibile. Volti dell’iniziativa, 5 pupazzi in tessuto riciclato che incarnano diversi stili, ognuno dei quali racconta un motivo per cui il second hand rappresenti il futuro della moda sostenibile. AncheDepopha deciso di spingere sull’eco sostenibilità, stilando unmanifesto programmaticoancora tutto da verificare ma che nelle intenzioni puntaentro il 2022, tra le altre cose,a ridurre l’impronta di carbonio dell’aziendae a usare per i propri uffici il 100% di energia rinnovabile. Sulla stessa lineaRent the Runway, che ha annunciato l’impegno a comunicare tempestivamente i propri progressi green a partire dal 2023 e nel frattempo ha fissato gliobiettivi più importanti, tra cui ladiminuzione delle emissioni di carbonio dell’attivitàfino ad arrivare a emissioni nette zero entro il 2040 e la riduzione al minimo dei rifiuti. ThredUP,oltre a essere membro della Ellen MacArthur Foundation e a operare seguendo un piano di sostenibilità serrato, supporta gli sforzi per la moda sostenibile con la propriaorganizzazione no-profitthredUP Circular Fashion Fund, focalizzata sul supporto di aziende e individui nel settore della moda che stanno lavorando per un futuro più green. Completamente made in Italy, infine,Greenchic, unmarketplace di moda second handche fino al 2021 si chiamava Armadio Verde. Nato dall’iniziativa di due genitori stanchi di vedere i vestiti dei propri figli durare al massimo un paio di mesi, oggi conta tantissimi utenti attivi mensilmente e oltre alla vendita si impegna in iniziative collaterali di beneficenza e la creazione diUpcycled, la prima linea di abbigliamento a marchio greenchic totalmente realizzata partendo dagli scarti.

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