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La corte australiana contro i giovani attivisti del clima

 

Nel 2021otto adolescenti e una suora di 87 anniconvinsero un tribunale australiano cheil governo locale aveva un dovere legale nei confronti dei bambini in merito agli effetti dei cambiamenti climatici.Nel dettaglio, il gruppo diceva che la ministra dell’Ambiente avrebbe dovuto valutare la loro salute prima di dare l’ok a un progetto legato ai combustibili fossili. Si trattava di unadecisione mai presaprima di allora, celebrata nel mondo comeun cambio di paradigmarispetto alle istituzioni e al loro approccio alle tematiche climatiche. Ma, quasi un anno dopo la prima sentenza,la ministra dell’Ambiente, Sussan Ley, ha impugnato la causa e ha vinto il suo ricorso. Secondo i giudici il dovere di «evitare danni ai bambini nella valutazione di un progetto legato alle industrie a carbone non deve essere imposto alla ministra». NelPaese che si è meritato il 60° e ultimo posto per la propria risposta alla crisi climaticanel rapporto pubblicato lo scorso anno al vertice globale sul clima della COP26, la decisione è stata presa all’unanimità dallaCorte federale australiana.L’organo ha ribaltato la precedente vittoria delle giovani che avevano intentato l’azione collettiva e che potrebbero oggi presentare un ricorso contro la decisione presso l’Alta Corte Suprema australiana. A maggio del 2021 il giudiceMordecai Brombergaveva deciso che la responsabilità di proteggere i giovani dal cambiamento climatico apparteneva a Ley, che ai tempi volevaapprovare l’espansione della miniera di carbone di Vickery, nel Nuovo Galles del Sud,che si stimava avrebbe potuto aggiungere altri170 milioni di tonnellatedi emissioni di combustibili fossili nell’atmosfera terrestre. Quattro mesi dopo la sentenza che dava ragione al gruppo di attiviste, Ley aveva già approvato l’ampliamento della miniera di carbone. A guidare il gruppo di attivisti adolescenti èAnj Sharma, 17 anni, che ha sostenuto che la ministra dell’Ambiente aveva il cosiddetto “duty of care”, il dovere di cura, nei confronti dei giovani colpiti dalclimatechange e che questo doveva essere preso in considerazione nell’approvazione di quei progetti che producono gas serra. Quando è partita, l’azione collettiva sosteneva anche che scavare e bruciare carbone avrebbe innalzato le emissioni di CO2 e danneggiato i giovani in futuro. «La sentenza di oggici lascia devastati, ma non ci scoraggerà nella nostra lotta per la giustizia climatica», ha dichiarato Sharma ai suoi avvocati. La 15enne Izzy Raj-Seppings, anche lei coinvolta nel caso, ha dichiarato che «I nostri legali esamineranno la sentenza epotremmo avere altro da dire nelle prossime settimane: anche se la sentenza di oggi non è andata come volevamo, c’è ancora molto da celebrare. La corte ha accettato che saranno i giovani a subire le conseguenze peggiori dell’impatto della crisi climatica». Perché se è vero che, secondo i giudici, non è dovere del ministro dell’Ambiente prendersi cura dei bambini australiani,la sentenza ha comunque riconosciuto e non contestato le prove del cambiamento climatico e dei suoi pericoli per l’umanità.Sharma ha anche dichiarato che, comunque, «questa sentenzanon cambia l’obbligo morale del ministroad agire contro il cambiamento climatico. La scienza non cambia, gli incendi non si spegneranno e le acque alluvionali non verranno drenate. Non ci fermeremo nella nostra lotta per la giustizia climatica.Il mondo sta guardando». SecondoJacqueline Peel, professoressa alla Melbourne Law School e direttrice del gruppo di ricercaMelbourne Climate Futures, «questa decisione è uno scaricabarile, perché è come se dicesse: “Guarda, non è il ruolo dei tribunali prendere queste decisioni, è il ruolo dei nostri governi”. Ma parte dei motivi per cui queste giovani hanno citato in giudizio il governo, in primo luogo, è proprio la mancanza di una politica governativa efficace». La suora cattolica Brigid Arthur, tutrice legale delle minorenni coinvolte nel caso, l’anno scorso aveva detto allaBbcche avevano «tutto il diritto di chiamare le persone a rendere conto».L’Australia è anche il secondo esportatore di carbone al mondoe il primo ministro Scott Morrison ha dichiarato che l’industria opererà in questo settore nei «decenni a venire». Ma, entro il 2050, l’Australia ha un obiettivo: raggiungere le zero emissioni nette di CO2.Basteranno 28 anni di tempo?I presupposti nn sono dei migliori, per ora.

Redazione

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