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Giù fino al Polo Sud per ispirare le nuove generazioni

 

“L’Antartide è il continente più freddo, più alto, più secco e più ventoso della Terra. Nessuno ci vive stabilmente. Non ne sapevo molto quando ho iniziato a pianificare [il viaggio] e questo è ciò che mi ha dato ispirazione per andarci”. Le parole diHarpreet Chandi, capitana dell’esercito britannico di origini indiane,si possono leggere sul sito “Polar Preet”,creato dalla 32enne prima di iniziarela spedizione in solitaria di oltre un mese al Polo Sud. 1.100 km per raggiungere il quarto continente più vasto della terra dopo Asia, America e Africa. Per il desiderio di uscire dalla propria comfort zone ed essere una fonte di ispirazione per gli altri, soprattutto per le donne. «Ci sono solo poche donne avventuriere che hanno completato un viaggio da sole in questo continente. Era tempo di aggiungere altri nomi, multiculturalismo, e fare la storia»continua Harpreet, la prima esploratrice di origine indiana ad aver compiuto una spedizione del genere. Nel 1994 la sciatrice fondista norvegeseLiv Arnesenè stata la prima donna a viaggiare in solitaria al Polo Sud. Non solo capitana dell’esercito britannico nel quale organizza l’addestramento del personale medico,Harpreetè una fisioterapista, sciatrice, maratoneta e atleta. «Non ero l’immagine che la gente si aspettava di vedere, non avevo le “sembianze” di un esploratrice polare, e ho pensato fosse il momento di far cambiare idea». Iprofili socialdi Harpreet raccontano il viaggio antartico:una media di 11 ore sugli sci al giorno – a volte anche 20 – a temperature sotto i 50 gradi con venti di quasi 100 km/h. Trainando una slitta di 90 kg con a bordo l’attrezzatura e pasti liofilizzati per mangiare. “Niente è impossibile”, si legge sul sito di Harpreet, “Ho sempre avuto l’idea di poter realizzare qualcosa di grande, qualcosa che mi permettesse di essere un modello.Voglio che mia nipote di 8 anni cresca senza confini, sapendo che le possibilità di ciò che puoi ottenere nella vita sono infinite”. Tra gli obiettivi principali del viaggio, proprio quello diispirare le generazioni futurea realizzare tutto ciò che desiderano, e a non avere limiti. Oltre alla sfida fisica e mentale,la spedizione è stata un modo per riappropriarsi della cultura indiana punjabi, di cui si è spesso vergognata durante l’adolescenza. Nata a Derby, in Inghilterra, la capitana ha sottolineatoquanto siano oggi importanti le radici e il colore della pelle: «È una parte di me». Arrivata al Polo Sud, per festeggiare, Harpreet si è concessa un sorso di Coca Cola, e una volta tornata a casa in Inghilterra, ripensando alla spedizione, ha concluso, “forse l’unica cosa che non mi manca è l’inesorabile luce del giorno dell’Antartide. È bello dormire quando è buio».

Redazione

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