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Lo strano caso dell’avocado

 

In 5 anni schizza del 45-50% il consumo di frutta tropicale in Italia. Il dato emerge durante l’annuncio della terza edizione del Tropical Fruit Congress, in programma a maggio al Rimini Expo Center. L’evento avrà come indiscusso protagonista l’avocado: vera e propria star tra i frutti tropicali.Operatori e consumatori sembrano apprezzarne particolarmente la qualità di superfood, ossia con valori nutrizionali elevati.In particolare, l’avocado è ricco di vitamine (A, C, E), fibre e sali minerali (ferro, calcio, potassio, magnesio). Consumarlo con regolarità contribuisce a ridurre i livelli di colesterolo, a migliorare quelli degli zuccheri nel sangue e a favorire un corretto transito intestinale. “Obiettivo del Tropical Fruit Congress” afferma Thomas Drahorad, Presidente di Ncx Drahorad “è creare un momento di incontro unico per gli operatori della filiera in cui confrontarsi e aggiornarsi sui trend di mercato, le novità tecniche e le best practice logistiche e commerciali. Saranno presenti relatori internazionali tra esperti, buyer e produttori delle principali aree globali di produzione e consumo di avocado, che è stato definito il fenomeno del 2020 nel mondo dei superfruit”. Questo frutto cremoso e colorato ha letteralmente conquistato il settore ortofrutticolo. Talmente popolare che anche in Italia sono nati locali che servono esclusivamente piatti a base di avocado ed è stata istituita una ricorrenza in suo onore:il 31 luglio di ogni anno si celebra, infatti, il World Avocado Day. Ma, parliamo di numeri.Solo in Italia si registra un consumo pari circa a 24.000 tonnellate(considerando il 2020) e un incremento del 20% annuo. Negli ultimi 10 anni l’avocado è entrato gradualmente a far parte dell’alimentazione del Belpaese. L’introduzione del frutto nella dieta delle famiglie è ancora bassa, attestandosi al 17%: una su 6 dichiara di averlo acquistato negli ultimi 12 mesi. Pare però che l’amore per la cucina esotica ne determinerà nei prossimi anni un consumo sempre maggiore. Dal punto di vista dell’impatto ambientale, però, dietro a questo boom si celanofenomeni di deforestazione, consumi eccessivi di risorse idriche e inquinamento. I principali produttori di avocado restano i Paesi del Centro e del Sud America. Le aree in cui questo frutto cresce sono spesso colpite da siccità, povertà e sfruttamento del lavoro agricolo. Così come già accaduto per altri alimenti “di moda”, il successo riscosso da questo prodotto ha avuto solo inizialmente delle ricadute positive sui territori d’origine. L’aumento della domanda e le pressioni del mercato hanno determinato il progressivo abbandono del consumo di quel cibo da parte delle popolazioni che lo coltivano,per favorire le esportazioni. Da una parte,molti terreni, prima utilizzati per differenti tipi di colture, sono stati convertiti in monocolture, dall’altra, tante terre vergini sono state trasformate in piantagioni: all’incirca 690 ettari all’anno. Inoltre, le coltivazioni intensive di avocado necessitano dell’intervento di prodotti chimici e di fertilizzanti, che causano l’inquinamento del suolo, dell’aria e delle riserve d’acqua. Secondo i ricercatori dell’Università di Twente, in Olanda,la produzione di 500 grammi di avocado, che corrisponde a 2 o 3 frutti di medie dimensioni, richiede all’incirca 272 litri di acqua.Per produrre la stessa quantità di lattuga, a esempio, ne occorrono solamente 20. Noi, nel nostro piccolo, cosa possiamo fare? Innanzitutto,rispettare la stagionalità del prodotto. La raccolta dell’avocado inizia a ottobre per le varietà Fuerte, Bacon e Zutano. Prosegue da gennaio a maggio con la Hass, la varietà oggi più diffusa. Per il resto dell’anno la scelta più vicina al chilometro zero è optare probabilmente per l’avocado biologico coltivato in Sicilia, in Calabria o in Toscana.

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