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Occupazione femminile: di male in peggio

 

Vorremmo poterne non parlare più. E invece, ancora una volta i dati ci costringono ad affrontare il tema dell’occupazione femminile. Perché, purtroppo, ciò che temevamo e gridavamo a gran voce già un anno e mezzo fa viene confermato ancora una volta.Questa crisi colpisce soprattutto le donne. È quanto emerge dal Bilancio di genere 2021 che la Sottosegretaria al Ministero del lavoro e delle politiche sociali Maria Cecilia Guerra spiegherà tra qualche giorno in Parlamento.Il 2020 segna l’annus horribilis per l’occupazione femminile, che per la prima volta dal 2013 scende al 49%.Inasprendo, peraltro, le disuguaglianze preesistenti: peggiori infatti i dati delle donne più giovani, il cui tasso di occupazione si ferma al 33,5%. Ancora inferiore quello delle donne del Mezzogiorno, pari al 32,5%. Si penserà: beh, la crisi avrà colpito tutti. E invece no: perchéil tasso di occupazione degli uomini è oltre 18 punti percentuali superiore a quello delle donne. Si dirà: tutti i Paesi sono in questa condizione. Ancora no: il tasso di occupazione femminile nella media europea arriva al 62,7%. e il divario rispetto all’occupazione maschile è poco superiore al 10%. È un tema tutto italiano, quindi, per quanto sia fastidioso ammetterlo. Ed è legato ancora una voltaalla considerazione italiana delle donne, il cui ruolo è tuttora fortemente vincolato alla maternità. Ecco allora che se, tra le donne senza figli, il tasso di occupazione è del 72,7%, quello delle donne con figli si contrae drammaticamente, arrivando al 53,3%. «Sono numeri drammatici» commenta la Sottosegretaria «che evidenziano una discriminazione nella discriminazione: l’aggravarsi della situazione delle madri, soprattutto quelle più giovani, dimostra, come se ve ne fosse ancora bisogno, che al di là della retorica del sostegno alla maternità,nel nostro Paese figli e lavoro continuano a essere largamente inconciliabili». Lo confermano i dati INPS su quanti hanno beneficiato delcongedo Covid per i minori. Indovinate un po’?Per il 79,9% se ne sono fatte carico le madri.I dati gridano: questa è una disuguaglianza che non possiamo più fingere di non vedere. Anche perché le donne che arretrano, quelle che sono costrette a lasciare il lavoro, quelle che riducono l’orario lavorativo scegliendo un part-time sono, per l’Italia,un’occasione mancata per produrre ricchezza.Se il Paese vuole davvero ripartire, non può che farlo puntando, per la prima volta, sulle donne. E sul loro lavoro.

Redazione

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