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Quando lo sport aiuta a crescere davvero

 

I giovani praticano poco sport. Anche gli adulti, in realtà. Intanto pensiamo però ai ragazzi, anche se forse il problema andrebbe affrontato in parallelo. Perché i ragazzi sono meno attivi di un tempo? Ciascuno di noi può trovare la propria risposta, perché in effetti le cause sono molteplici. Poi ci sono i fatti e i dati, quelli a esempio messi in evidenza dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: 4 adolescenti su 5 non fanno abbastanza attività fisica. Era già così prima della pandemia. Ci vorrebbe un’ora di attività fisica al giorno. Per tutti, non solo per i ragazzi. Prima dell’ondata Covid sembravano esserci stati timidi segnali di ripresa, poi il virus ci ha messo il carico sopra e – via. È evidente che il problema arriva da lontano. Gli oratori, da tempo ormai, sono molto meno frequentati; e anche i campetti pubblici, dove un tempo dovevi fare la fila per tirare a canestro e oggi invece non succede quasi mai. Perché? L’OMS sostiene che la “rivoluzione elettronica” sembra aver cambiato i modelli di movimento degli adolescenti e li incoraggia a sedersi di più, a essere meno attivi. Ed è certamente vero. Poi però, se ci pensiamo bene, forse non è solo questo. Quando sei in compagnia, stai bene e ti diverti, hai certamente meno interesse nell’andare a guardare l’ennesima notifica sul cellulare. O no? E forse non hai neanche lo stesso interesse a farti la foto mentre stai giocando, per far vedere che stai praticando sport; semmai lo fai per immortalare un bel momento trascorso con altre persone e che ricorderai. Il dubbio che viene, quindi, è che – insieme alle cause certamente vere, messe in evidenza dai dati – oggi siamo meno capaci di offrire spazi e contesti adeguati. Impresa difficilissima, si badi bene, perché appunto – come si dice – il mondo è cambiato. a ottobre, la Fondazione Milan ha organizzato un momento di confronto sul tema dell’inclusione sportiva, ponendo una domanda molto semplice a tutti gli operatori: stiamo facendo abbastanza per coinvolgere bambini, giovani, maschi e femmine (perché c’è anche un problema di genere), normodotati e disabili, italiani e stranieri, atleti che provengono da famiglie in grado di pagare una quota e altri che non possono permetterselo? La risposta è stata: no. È stata una presa di coscienza collettiva. La mamma di una ragazzina down ha portato la sua testimonianza: aveva bussato alle porte di molte organizzazioni sportive a Milano (una grande città), ma non ha trovato da nessuna parte l’accoglienza di cui aveva necessità; non per cattiveria esplicita, sia chiaro, più semplicemente – con ogni probabilità – per impreparazione nel gestire la situazione, e sua figlia. Ci sono poi ragazzi che smettono di fare sport molto presto. Perché? Troppo stress. Troppa competizione anche a livelli più bassi. Quindi non è un problema di fatica. Tutte le partite, le prestazioni, le magliette, le borse, le tute che li fanno sembrare dei professionisti, se da un lato danno la parvenza di ordine, dall’altro contribuiscono a creare un contesto che non lascia spazio alla leggerezza e alla semplicità; non puoi sbagliare, nemmeno un passaggio, perché il pubblico fuori poi rumoreggia. E i genitori pure. Prima ancora dello sport, abbiamo bisogno di giocare. Sport amatoriale versus competizione. Momenti tra amici: chi vince vince, senza sentirsi incapaci se sbagli un palleggio. Al massimo, giù una bella risata davanti a una svirgolata clamorosa. L’assioma, da sempre dichiarato, è che lo sport è un’arma potente per il benessere, per la salute e per l’inclusione sociale; ma se non riesci nemmeno ad approcciarti allo sport in modo sano non potrai coglierne i vantaggi, né per il corpo né per la mente. Far parte di un gruppo sportivo, o di una squadra, dona il senso di appartenenza, ma può anche essere l’occasione per apprendere le regole dello stare in gruppo, del gestire vittorie e sconfitte, di darsi obiettivi per migliorare, per quello che ciascuno può, magari sognando il campione preferito. Valeva ieri, vale oggi. Anche se i poster non stanno più sulle pareti della cameretta e al loro posto ci sono i… post sui social.

Redazione

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