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Addio tivù: l’informazione passa dai social

 

Alzi la mano chi usa Facebook per informarsi: un po’ per comodità, chi proprio per la fiducia che riponiamo nella piattaforma ideata da Mark Zuckerberg, un po’ per l’abitudine di stare sui social anziché sui siti di informazione. Secondo l’Osservatorio permanente Censis-Ital Communications sulle Agenzie di comunicazione in Italia, sono 14 milioni e mezzo le persone che usano Facebook per informarsi. Cioè il 30,1% complessivo della fascia di cittadini tra i 14 e gli 80 anni. La percentuale tocca il 41,2% tra i laureati, il 39,5% tra i soggetti compresi tra i 30 e i 44 anni e il 33% tra le donne. E ben 4,5 milioni si informano esclusivamente sui social network. Ma Facebook non è l’unico social usato come fonte d’informazione: il 12,6% della popolazione cerca notizie su Youtube – la piattaforma video per eccellenza – e la quota sale al 18% tra i giovani; poi c’è Twitter, il social che cinguetta, frequentato perlopiù da giornalisti e politici, scelto dal 3% della popolazione totale e dal 5% dei più giovani. Secondo Attilio Lombardi, fondatore di Ital Communications, “Il rischio è quello di rifugiarsi in una sorta di spazio chiuso in cui si apprendono notizie solo sulla base delle proprie tendenze e inclinazioni, a scapito della capacità di discernimento rispetto a quello che accade intorno a noi”. Non è una novità che l’informazione appresa tramite i social network esponga più facilmente le persone alle fake news. E lo sanno anche gli italiani, che pur informandosi sul web ne conoscono la pericolosità: secondo l’86,8% di loro, infatti, le notizie fruibili via internet dovrebbero essere sottoposte a regole e controlli più stringenti. Il 55,1% è convinto che il digitale fomenti odio, rancore, conflittualità, e questa consapevolezza cresce al 58,9% tra le donne e al 58,4% tra gli under 34. C’è anche una nuova paura, alimentata dalla pandemia e dalla polarizzazione sempre più crescente, in particolare sui social network: il timore deglihaters(22,6%). L’Accademia della Crusca li definisce “Persone che usano la rete, e in particolare i social network, per esprimere odio o per incitare all’odio verso qualcuno o qualcosa”. È capitato spesso, quest’anno, anche nei confronti di politici o virologi minacciati attraverso i profili social dopo un’ospitata in televisione a tema Covid-19. E a questo proposito, più della metà degli italiani, il 54,2%, ritiene positiva la presenza mediatica degli esperti nei vari campi della medicina. Altri ritengono invece che virologi ed epidemiologi in tv abbiano solo provocato disorientamento (34,4%) e allarme (11,4%). Secondo il Direttore Generale del Censis Massimiliano Valerii, “La pandemia ha scatenato un’infodemia comunicativa che ha alimentato anche false informazioni sulla malattia e sui vaccini, determinando comportamenti che hanno un impatto decisivo sull’andamento dei contagi”. La notizia fa il paio con una news di settimana scorsa: la tv sta registrando il minimo storico tra i ragazzi. Un crollo di ascolti, in particolare tra gli under 25. Questo, almeno, secondo i dati Auditel elaborati per il Sole 24Ore: rispetto allo scorso anno il 30% di loro ha definitivamente spento la tv. Per i 25-34enni il calo è stato del 24%, di poco inferiore. E il calo ha riguardato anche le altre fase di età, con un tracollo complessivo di 3,3 milioni di ascolti in prima serata. Eppure, gli italiani che ritengono la tv affidabile sono il 74,5%, mentre solo il 34,3% pensa lo stesso dei social network. L’86,4% della popolazione sa che sarebbe meglio affidarsi ai quotidiani di carta e online, radio e televisione, dove lavorano professionisti che verificano i contenuti che pubblicano. E tuttavia, spesso, le persone preferiscono leggere contenuti sui social network filtrando le proprie ricerche o lasciando che siano le piattaforme a farlo per loro. Come, d’altronde, lo faceva la televisione stessa. Prima che la spegnessero.

Redazione

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