Difficile dare torto a Paolo Scaroni, ex amministratore delegato di Enel ed Eni, quando al Sole 24 Ore dice che abbandonare un’economia che per 150 anni si è basata sugli idrocarburi sarà un processo costoso. Difficile dargli torto anche quando afferma che ai cittadini sono stati illustrati i vantaggi dell’energia pulita, ma non chiaramente il prezzo da pagare e i problemi di approvvigionamento che questo passaggio avrebbe generato. Sul tema del cambiamento climatico le posizioni si sono radicalizzate: da una parte chi lo negava, dicendo che non avremmo dovuto far nulla e che già ieri (ma ancora di più oggi) appare non dissimile da quelli che seguono teorie balzane per smentire l’efficacia dei vaccini; dall’altra scienziati, climatologi e mondo ambientalista che, impegnati in una battaglia su più fronti, hanno tralasciato pezzi di informazione che sono fondamentali per affrontare questo enorme cambiamento. Se i primi sono colpevoli senza appello, per i secondi l’obiettivo lodevole di convincere Governi, negazionisti e cittadini non può comunque portare a un’assoluzione definitiva. Così come non possono essere assolti gli Stati, che di volta in volta hanno rimandato gli impegni o agito sull’onda dell’emozione, non lo può essere il mondo dell’industria, che solo in parte è arrivato preparato al redde rationem, non lo possono essere molti di noi, spesso pronti, nelle scelte di consumo e di scarto, a imbracciare la fionda ambientale e mai il fucile d’assalto. La transizione energetica s’ha da fare, s’ha da fare il più in fretta possibile, ma il costo sociale ed economico deve essere accettabile e le mosse ponderate e coordinate, per evitare che contro queste scelte ci si ribelli. Il mezzo milione di posti di lavoro che rischia di perdere l’industria automobilistica europea con l’arrivo massiccio dell’auto elettrica sono un buon esempio da cui partire. Simbolo dei 150 anni di economia degli idrocarburi, simbolo dei costi sociali di cui si parlava, simbolo di un realismo al quale i cittadini avrebbero avuto diritto.
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