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Scuola: non provate ad allungare le vacanze di Natale

 

“Faremo di tutto per non tornare in dad”. Il 2021, ormai al termine, ha chiarito al Presidente del Consiglio Mario Draghi che la didattica a distanza ha avuto più contro che pro. Queste, almeno, le parole pronunciate durante la conferenza stampa di fine anno. E tuttavia c’è chi non si fida un granché delle dichiarazioni del Premier, perché negli ultimi giorni da diverse voci – anche i telegiornali – si è ventilato (o sondato) un allungamento delle vacanze di Natale per gli studenti. Le famiglie, i ragazzi, i bambini, e anche gli insegnanti, hanno maturato una sorta di “riflesso condizionato” da quel lontano 4 marzo 2020, quando videro sospese le lezioni in presenza da un giorno all’altro. Da quando, cioè, la didattica rimase a distanza fino alla fine dell’anno scolastico. Da allora, sono stati numerosi gli studi e le indagini statistiche che ne hanno dimostrato gli scarsi risultati: per efficacia, carico di studio, socializzazione, disagi psicologici, preparazione scolastica. Ecco. La paura è che la storia si ripeta. Pure il Vaticano si è schierato contro la misura: “L’impoverimento dell’apprendimento intellettuale e la deprivazione delle relazioni formative sono diventati un’evidenza condivisa”. Quello che è certo, è che la didattica a distanza ha fatto emergere più che mai le carenze di un sistema scolastico già in precario equilibrio ancor prima della pandemia da Covid-19. Il 20 settembre 2020, dopo ben 4 mesi di lezioni seguite dietro a uno schermo, spesso oscurato, spesso muto, gli studenti sono tornati tra i banchi di scuola. Ma adesso com’è la situazione? a oggi le classi in dad sono 10mila su 400mila: “Siamo ancora lontani dai numeri dell’anno scorso”, spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, “la speranza è che si riesca a fermare questa nuova variante. La scuola finora sta facendo il suo dovere, rispetto a tanti altri settori”. Per questo motivo il Comitato Priorità alla Scuola ha lanciato una campagna social per evitare la dad: “Per Natale chiediamo scuole aperte tutto l’anno!” recitano i manifesti rossi sgargianti incollati tra le vie di Milano. L’ipotesi di non riaprire le scuole a gennaio si è ripresentata quando, alla vigilia della chiusura ufficiale delle scuole per le festività, il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri ha accennato che “Se ci saranno numeri come quelli del Regno Unito, potremo valutare il rinvio di due settimane del ritorno in classe”: dichiarazioni inaccettabili per il movimento nato ad aprile 2020, che si dice pronto a organizzare mobilitazioni a gennaio. Simili le parole di Massimo Galli, ex direttore del reparto Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano: “Ci sarà da pensare, eventualmente, a una procrastinazione delle vacanze, se le cose vanno male o malissimo”. Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione, sembra però condividere la linea di Priorità alla Scuola. Eppure anche l’anno scorso, allo scoppio della pandemia, la dad sembrava un’opzione remota. Quando la ministra Azzolina annunciò il ricorso a questa misura, a marzo 2020, disse anche che avrebbe dato degli strumenti digitali a chi, quegli strumenti, non li aveva. Ma secondo le indagini dell’Istat, l’8% degli studenti è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza proprio a causa deldigital divide. E la percentuale è aumentata tra gli alunni con disabilità, toccando il 23%. Questa disparità rischia di aggravarsi, ora che la variante Omicron minaccia il Paese. Ma, stavolta, il Governo vuole puntare su tamponi e vaccinazioni. Giannelli, dell’Associazione Presidi, si è detto favorevole anche al Green Pass obbligatorio per gli studenti, ma a oggi sembra una misura poco realizzabile nel breve periodo: “Il problema è la tempistica: se noi diciamo da un giorno all’altro che diversi milioni di bambini-ragazzi devono vaccinarsi, in quanto tempo devono ottenere il Green Pass? Se dobbiamo fare i tamponi a tutti, non abbiamo le strutture necessarie per farli”. Anche la sottosegretaria all’Istruzione Barbara Floridia punta sull’attività di tracciamento che, però, stenta a decollare. Secondo Priorità alla Scuola non c’è stato alcun investimento sulle criticità strutturali della scuola italiana: “Né assunzione e aumento personale docente e amministrativo tecnico e ausiliario precario, né concessione di nuovi spazi, né riduzione degli alunni per classe, né potenziamento dei mezzi pubblici, né ripristino delle infermerie scolastiche, né servizi medici dedicati alla gestione della pandemia nelle e per le scuole”. Le richieste del movimento sono state ignorate, “…e per questo, oggi, si parla di nuovo di chiudere le scuole, senza vergogna né pudore”. Il rischio è che le Regioni decidano, in maniera compatta, di posticipare la data del rientro in classe almeno fino a lunedì 10 gennaio. Una misura già prevista in Puglia, Piemonte e Campania, che si spera non contagi anche le loro omologhe. Come avverte Priorità alla Scuola, c’è la possibilità che “…ancora una volta la scuola, la prima a chiudere e l’ultima a riaprire, sia usata come paravento di ogni inefficienza e di ogni inerzia”.

Redazione

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