Categories: Diritti

Julian Assange, sentenza ribaltata

 

Julian Assange potrà essere estradato negli Stati Uniti. Lo ha deciso in mattinata l’Alta Corte di Londra. Giornalista, programmatore e attivista, noto principalmente per aver co-fondato l’organizzazione divulgativa WikiLeaks, era ricercato negli USA per la pubblicazione di migliaia di documenti riservati nel 2010 e nel 2011. Il cinquantenne australiano rimarrà per il momento nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, dove è detenuto dall’aprile 2019, dopo che l’ambasciata ecuadoriana gli revocò l’asilo politico. La sentenza, che potrà essere impugnata, porta Assange a un passo da un volo diretto verso gli Stati Uniti, dove potrà essere processato dalla Corte Federale in Virginia. La decisione ribalta la sentenza di primo grado dello scorso gennaio, che negava l’estradizione dalla Gran Bretagna agli Usa e che era stata vista come una vittoria per la libertà di espressione. Tra i capi d’accusa, 17 sono riconducibili ai sensi della Legge sullo Spionaggio e 1 ai sensi della Legge sulle Frodi e gli Abusi Informatici, per aver, tra le altre cose, hackerato documenti governativi: il 28 novembre 2010 WikiLeaks rese infatti di pubblico dominio oltre 250.000 documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali etichettati come “confidenziali” o “segreti”. Se ritenuto colpevole, potrebbe essere condannato a 175 anni di detenzione. In questi anni, si è parlato spesso se rendere pubbliche alcune informazioni faccia davvero parte della libertà di stampa e del diritto dell’opinione pubblica ad avere accesso a notizie di interesse pubblico. Assange è stato il primo in ambito editoriale a essere incriminato ai sensi della Legge sullo Spionaggio. Nel 2010 migliaia di lettori del Time lo volevano come l’uomo dell’anno da mettere in copertina, e il 13 dicembre la rivista americana lo immortalò con un bavaglio sulla bocca a stelle e strisce con su scritto: “Vuoi conoscere un segreto?”. Usando le nuove (e vecchie) tecnologie, ha scardinato consuetudini diplomatiche che i Governi non pensavano minimamente potessero essere hackerate. Definiva WikiLeaks un “sistema a prova di censura”, per generare fughe massicce di documenti riservati senza tradirne l’origine.

Redazione

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