Ledonne sono più impegnate rispetto agli uomininel contrastare ilcambiamento climatico. Lo dimostra un sondaggio condotto dal Women’s Forum for the Economy and Society, che riunisce leader e personalità influenti e si fa interprete della voce delle donne sulle principali questioni sociali ed economiche mondiali. Il barometro sull’equità di genere pubblicato a ottobre dal WF haanalizzato lo stato di disuguaglianza di genere in vari ambiti: business, cambiamento climatico, salute e tecnologia. Tra le 10mila persone intervistate nei Paesi del G20, le donne hanno cambiato più degli uomini il loro comportamento e le loro abitudini quotidiane per ridurre le emissioni di anidride carbonica attraverso il riciclo, l’acquisto di merci locali e la riduzione del consumo di acqua e carne. Rispetto al genere maschile, inoltre, le donne sono più facilmente motivate a ridurre l’impatto ambientale delle proprie azioni perché più interessate al miglioramento delle condizioni del pianeta e dei benefici che questo comporterebbe per le generazioni future. Gli uomini sarebbero, invece, più motivati dalle tasse relative al livello delle emissioni a cui sarebbero sottoposti. Un altro dato interessante emerso dal Women’s Forum è che ifunzionari a capo dei ministeri che si occupano dei cambiamenti climatici- energia, trasporti e ambiente -sono principalmente uomini: la percentuale è del 79% in Germania, seguita dalla’Italia al 78%, dalla Francia al 71% e dal Regno Unito al 61%. Un altro rapporto pubblicato dal Women’s Forum a settembre ha sottolineato come ledonne siano maggiormente colpite dalla crisi climatica, specialmente nelle aree più povere del mondo. Qui le donne costituiscono una parte molto importante della forza lavoro agricola: la combinazione di un forte coinvolgimento con l’agricoltura e le disuguaglianze strutturali, come l’essere escluse dai sistemi finanziari tradizionali, le rende intrinsecamente più vulnerabili ai disastri naturali e ai cambiamenti climatici. Le donne povere hanno 14 volte più probabilità di morire durante un disastro naturale e rappresentano circa l’ 80% dei rifugiati climatici.
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