Diritti

Si riapre il caso della giornalista Abu Akleh

A più di due settimane dalla morte della reporter di Al Jazeera, l’Anp ha dichiarato che è stata uccisa intenzionalmente dalle forze militari israeliane. Che replicano: è una «sfacciata menzogna»
Alcuni palestinesi camminano davanti a un murale dedicato alla giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh nella città cisgiordana di Betlemme
Alcuni palestinesi camminano davanti a un murale dedicato alla giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh nella città cisgiordana di Betlemme Credit: EPA/ABED AL HASHLAMOUN
Tempo di lettura 4 min lettura
27 maggio 2022 Aggiornato alle 18:00

Le forze israeliane avrebbero sparato deliberatamente alla giornalista Abu Akleh, inviata della rete televisiva più seguita dai Paesi arabi, Al Jazeera.

Lo sostiene un’indagine condotta dall’Autorità Nazionale palestinese e avviata dopo la morte della reporter palestinese-americana colpita con un proiettile mentre stava lavorando. L’11 maggio, infatti, la donna stava seguendo l’incursione delle forze di difesa israeliane in Cisgiordania. Secondo il procuratore generale palestinese Akram al-Khatib, «Era chiaro che una delle forze di occupazione aveva sparato un proiettile che ha colpito direttamente la giornalista Shireen Abu Akleh alla testa» mentre stava tentando di scappare.

Lo ha detto ai giornalisti nella città di Ramallah, aggiungendo che «indossava un casco e un giubbotto contrassegnato dalla parola PRESS». Con lei c’erano altri tre colleghi, ed era «chiaramente indicato» che fossero inviati di guerra e membri della stampa.

Abu Akleh era una corrispondente di 51 anni conosciuta e rispettata da circa due decenni, quando coprì la seconda intifada palestinese e iniziato a documentare la vita sotto l’occupazione militare israeliana per gli spettatori di tutto il mondo arabo.

I risultati dell’indagine sono arrivati a pochi giorni dall’annuncio del ministro degli Esteri palestinese, Riyad al-Maliki, che aveva formalmente chiesto alla Corte penale internazionale di indagare sull’omicidio di Abu Akleh. Da quel momento le richieste di un’indagine indipendente e imparziale, anche da parte di Stati Uniti e Nazioni Unite, non hanno fatto altro che aumentare.

L’indagine ha coinvolto testimoni e colleghi presenti sulla scena del crimine, che già avevano dichiarato che il colpo fosse partito dalle forze israeliane. L’ha confermato il procuratore: «I colpi provenivano unicamente da loro, con lo scopo di uccidere».

Erano stati alcuni funzionari israeliani ad affermare che nel luogo della sparatoria ci fossero anche dei combattenti palestinesi, cosa esclusa dal procuratore. L’autopsia e l’esame forense condotti nella città di Nablus, una delle più grandi della Cisgiordania, dimostrano che Abu Akleh è stata colpita alle spalle: stava tentando di fuggire, secondo le autorità palestinesi.

E lo dimostrerebbe anche il ferimento, sulla schiena, del collega di Al Jazeera che era con lei, Ali al-Samoudi. «Le forze di occupazione israeliane hanno continuato il loro attacco contro i giornalisti, che cercavano di scappare e andarsene», ha detto al-Khatib.

Secondo il ministro della Difesa di Israele, Benny Gantz, i risultati sono «una sfacciata menzogna». Dopo il presunto omicidio il procuratore militare aveva invitato l’esercito a condurre un’indagine approfondita, ma i militari avevano detto no all’avvio di un’inchiesta penale.

Gantz, il giorno dell’attacco, aveva annunciato un’indagine e rilasciato filmati dell’esercito provenienti dalle telecamere sul corpo dei soldati. «Speriamo che venga ripresa dalle organizzazioni internazionali, in particolare dalla Corte penale internazionale, per dare giustizia a Shireen», ha detto il procuratore.

L’Autorità Palestinese, finora, si è rifiutata di consegnare il proiettile a Israele o di collaborarvi, affermando che non ci si può fidare quando si indaga sulla condotta dei suoi militari. Secondo alcuni gruppi per i diritti umani il Paese ha avuto numerosi casi riguardanti attacchi ai palestinesi che spesso languivano per mesi o anni prima di essere chiusi silenziosamente.

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