Bambini

C’è una lettera in più nell’alfabeto! Si scrive ə, si chiama schwa

Le parole sono come i vestiti. Ci devono stare comode e farci sentire bene. Se le parole ci stanno strette, dobbiamo inventarne di nuove, più grandi e più giuste. Come fa la linguista Vera Gheno
Illustrazione di Rocco di Liso
Illustrazione di Rocco di Liso
Tempo di lettura 4 min lettura
28 maggio 2022 Aggiornato alle 09:00

Ti presento Vera, Vera Gheno. Vera è un portento. Parla italiano e ungherese e scrive libri. Vera è una linguista, vuol dire che studia le parole e la lingua. A Vera Gheno le parole piacciono proprio tanto, soprattutto quando vengono usate bene.

Una parola usata bene è una parola che descrive qualcosa a puntino, senza bugie. È una parola che non ferisce. Le parole sono proprio forti: una stessa parola ha il potere di essere dolcissima o crudelissima.

Le parole servono a descrivere il mondo ma anche a dire chi siamo noi. e è importante che ci siano parole per tuttə. Siccome siamo tuttə diversə, dovrebbe esserci una parola per chiunque: per ogni caratteristica fisica, per ogni sentimento che proviamo. Come dice Vera, chiunque dovrebbe sentirsi a suo agio nella lingua che parla. Come in un vestito comodo che gli sta a pennello. E per questo, Vera non ha paura di fare la sarta e - zic! zac! - tagliare e cucire un italiano più ricco e premuroso.

Forse l’hai notato, ma da un po’ di tempo a questa parte sembra che sia atterrata una nuova lettera nell’alfabeto, e tutti i grandi sono in agitazione. Ha la forma di una «e» a testa in giù e si chiama schwa. Vera e tante persone che hanno a cuore la bellezza delle differenze la usano quando devono parlare a un gruppo di persone composto da maschi, femmine e, magari, da persone che non si sentono né maschi né femmine, o un po’ dei due.

Con una lettera magica, che pronunci con la bocca un po’ aperta, come se non sapessi la risposta a una domanda e dicessi «eh…», si fa spazio a tuttə. In fondo, perché usare sempre il maschile per parlare a un mondo così vario?

Il maschile e il femminile delle parole sono un altro argomento che fa scapigliare i grandi. Siccome per tantissimi anni le femmine non hanno potuto studiare e fare gli stessi lavori dei maschi, ci siamo abituati a sentire certi mestieri solo al maschile. Ma siccome adesso le femmine studiano, lavorano e vanno alla grandissima, vale la pena imparare a dire «avvocata», «medica», «sindaca» e «marescialla». Siamo così poco abituatə a sentir dire «pompiera» che ci sembra quasi una barzelletta. Epperò, le fiamme che le pompiere devono combattere sono verissime e non fanno per niente ridere.

Per fortuna, l’orecchio è come la lingua: con un po’ di pazienza e di allenamento, si abitua a tutto.

Quando i tuoi genitori erano piccoli, si diceva «un nero», «una bionda», «un sordo». Adesso si sta piano piano imparando a dire «una persona nera», «una persona bionda», «una persona sorda». E che cambia, mi dirai tu? Cambia tutto. Quando dici «un sordo», «un nero», «una bionda», sembra che la persona stia tutta lì, racchiusa in quell’unica caratteristica. Si vede solo quello. E quella parola normale si trasforma in una parola cattiva.

Invece tu e io siamo un mondo di cose diverse. Allora se dico «una persona sorda» posso anche immaginare tutte le altre cose che caratterizzano quella persona: mora? alta? simpatica? toro ascendente acquario? bravissima a scacchi? sempre in ritardo? Ogni tanto, non serve neanche inventare parole nuove: basta spostarle che cambia tutto.

I grandi hanno tanta paura delle parole che cambiano. È normale. Più si cresce e più si ha paura di non capire più niente. Allora si diventa di coccio e si vuole fare le cose sempre allo stesso modo. La lingua però è un posto accogliente, c’è davvero spazio per chiunque. E quando la lingua cambia non perde mai i pezzi, ne guadagna e basta: nuove parole, nuove letterine, nuove espressioni. Non si smette mai di dire quello che si diceva prima.

Le parole non si possono buttare, anche quando vorremmo. Al massimo, le si ripone in fondo all’armadio e le si dimentica insieme ai calzini spaiati e ai vestiti che non ci stanno più.

Pensando a te e a tuttə lə bambinə, Vera ha messo a punto dei libretti, chiamati Scatoline (effequ), dove viene spiegata una parola, una per ogni lettera dell’alfabeto. A come «Amicizia», B come «Bellezza», C come «Casa»… I libri in cui non si racconta una storia inventata ma si spiegano le cose si chiamano «saggi», perché ti danno un assaggio del mondo e ti fanno diventare più saggiə.

Le Scatoline sono dei saggi dai 5 anni in su, perché avete tutto il diritto di assaggiare il mondo e di capirlo, di esplorare le parole e diventare più saggə. E, soprattutto, di prenderci per mano e spiegarci la bellezza delle differenze che facciamo così tanta fatica a vedere e a nominare, di coccio come siamo.

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