Futuro

Arrivano i pomodori con la supervitamina D

Eliminando un gene, è possibile produrre pomodori con livelli ancora più elevati di vitamina D: lo dice uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Plants
Uno studio ha dimostrato che, eliminando un singolo gene, i pomodori potrebbero fornire ciascuno il 20% della dose giornaliera raccomandata di vitamina D
Uno studio ha dimostrato che, eliminando un singolo gene, i pomodori potrebbero fornire ciascuno il 20% della dose giornaliera raccomandata di vitamina D Credit: Alexandra Stam/unsplash
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26 maggio 2022 Aggiornato alle 15:30

Il 20 luglio del 2021 il New York Times Magazine, il supplemento domenicale del celebre New York Times, mise in copertina un pomodoro viola scuro, lucente, succoso. Pareva un mix con una melanzana. Era stato creato da una biologa vegetale, Cathie Martin, che aveva studiato questi frutti - già, non si tratta di verdure! - per dieci anni e ne aveva realizzato una versione che conteneva il doppio degli antiossidanti presenti nei mirtilli.

Il pomodoro viola, in realtà, non era una novità, ma non ne esisteva ancora uno che avesse queste caratteristiche (e che fosse andato sulla copertina di una rivista così famosa). Quella stessa biologa è tornata alla carica sulla rivista scientifica Nature Plants insieme al suo team del John Innes Centre, nel Regno Unito, con uno studio in cui ha dimostrato che, eliminando un singolo gene, i pomodori potrebbero fornire ciascuno il 20% della dose giornaliera raccomandata di vitamina D.

E a fine marzo un altro gruppo guidato dal genetista vegetale Sunghwa Choe della Seoul National University ha dimostrato che, eliminando un gene correlato, è stato possibile produrre pomodori con livelli ancora più elevati di un precursore della vitamina D.

La carenza di vitamina D colpisce, nel mondo, circa 1 miliardo di persone, con un terzo della popolazione mondiale che soffre di malnutrizione dovuta a una dieta povera di vitamine e minerali. Uno dei ruoli della vitamina D è aiutare a regolare il modo in cui il corpo utilizza il calcio, rafforzando le ossa e, secondo alcuni studi, livelli bassi di tale sostanza organica sarebbero collegati a un maggior rischio di malattie cardiovascolari e altri problemi di salute.

Considerando che la vitamina D è un nutriente che si trova principalmente nei prodotti di origine animale, due studi hanno scoperto che basta un pizzico di aiuto genetico per fare in modo che i pomodori maturati al sole acquisiscano la capacità di accumulare la molecola che precede la produzione della vitamina D.

La luce solare, infatti, può indurre il corpo a sintetizzare la vitamina e renderla utilizzabile, ma questo non vale per chi prende poco sole e per chi ha una pelle invecchiata o più scura (caratteristiche che rallentano la sintesi della vitamina). Mangiare prodotti animali come pesce, uova e fegato può aiutare a colmare questa carenza. Lo sono anche i funghi e il lievito (meno efficaci) e pure gli integratori. Ma per fortuna ci sono i pomodori!

«Questo potrebbe essere un punto di svolta» nelle nazioni in cui questa carenza è un problema, ha dichiarato a Science Esther van der Knaap, genetista vegetale presso l’Università della Georgia, ad Atene. E queste piante geneticamente modificate potrebbero anche aiutare i vegani a ottenere abbastanza nutrienti dalla loro dieta a base veg.

Finora i pomodori modificati sono stati coltivati solo in serre da laboratorio, ma entro l’estate prossima i due team inizieranno una prova sul campo per vedere se le piante possono prosperare in condizioni reali e quotidiane. Sarà anche da dimostrare che il corpo umano possa assorbire la previtamina D3, accumulata con i raggi solari, e convertirla in vitamina D.

E i consumatori come reagiranno? Questi prodotti non sono ancora arrivati sul mercato, nonostante quel pomodoro viola in copertina nel 2021: dalla loro introduzione a metà degli anni ‘90, gli Ogm sono rimasti impopolari tra le persone, tra timori e incertezze sui loro benefici.

Ma un Ogm, in effetti, che cos’è? Come spiega il Ministero della Salute, si tratta di “un organismo, diverso da un essere umano, in cui il materiale genetico è stato modificato in un modo differente da quanto avviene in natura, con l’accoppiamento e la ricombinazione genetica naturale”.

Gli Ogm attualmente sviluppati, autorizzati e commercializzati sono piante come mais, soia, colza e cotone, modificate geneticamente per fare sì che resistano a certi insetti o tollerino alcuni erbicidi. “In Italia, a oggi, nessuna di queste piante geneticamente modificate viene coltivata a fini commerciali, anche se è consentita la commercializzazione dei loro prodotti nel rispetto delle regole di etichettatura”.

E in Europa? Un Ogm o un suo prodotto derivato “può essere immesso sul mercato europeo solo dopo che sia stato autorizzato sulla base di una procedura complessa, che comprende una valutazione del rischio per la salute umana e per l’ambiente”. Vale il principio di precauzione, sia per i “vecchi” che per i “nuovi” ogm, escluse le tecniche di evoluzione assistita, le più recenti, che rischiano di essere escluse dalla regolamentazione europea.

Negli Stati Uniti, come spiega il New York Times, “nei tre decenni trascorsi dall’introduzione delle colture Ogm, solo un numero esiguo è stato sviluppato e approvato per la vendita […]. Circa il 94% dei semi di soia coltivati negli Stati Uniti sono geneticamente modificati, così come oltre il 90% di tutte le barbabietole da zucchero, colza e mais, che insieme coprono circa 170 milioni di acri di terreno coltivato”.

Ma, se si trattasse di pomodori, chi accetterebbe la sfida?

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