Futuro

L’ipotesi della separazione dell’editoria dalla pubblicità

Le difficoltà congiunturali potrebbero contenere le aspettative degli editori su un ritorno della pubblicità. Non è necessariamente un male
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26 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

Il cambiamento nel sistema dei mezzi di informazione sull’attualità è stato largamente condotto dalla difficoltà di aggiustamento degli editori tradizionali di fronte alle sfide tecnologiche ed economiche legate all’avvento del digitale e dal contemporaneo successo delle nuove piattaforme che hanno basato il loro business sulla pubblicità e sulla partecipazione attiva degli utenti.

Una crescita impetuosa degli utenti, costi legati alla tecnologia ma non alla produzione di informazione, sistemi sempre più efficienti per raccogliere e distribuire inserzioni pubblicitarie hanno costituito alcuni dei motivi di vantaggio competitivo delle piattaforme digitali rispetto ai classici editori. Ma dopo una ventina d’anni segnati da queste tendenze, ci si può domandare se siamo di fronte a una nuova fase evolutiva.

Il primo argomento per rispondere positivamente a questa domanda consiste nel fatto che negli ultimi anni la considerazione pubblica delle piattaforme è passata dall’approvazione incondizionata alla critica: da una parte, la qualità dell’informazione sulle piattaforme si è rivelata in molti casi dubbia, dall’altra parte non tutte le piattaforme hanno dimostrato di voler fare tutto il possibile per migliorarla.

Ma la forza economica delle piattaforme stesse ha comunque difeso il loro modello e scoraggiato i critici dal suggerire la possibilità che nascano importanti alternative. La novità recente è che anche il modello di business delle piattaforme potrebbe presentare qualche crepa. Il secondo argomento, in effetti, è un ulteriore dubbio: la crisi della pubblicità sulle piattaforme che sembra essere segnalata dai fatti di questi giorni è un fenomeno del tutto passeggero o una difficoltà reale?

Snap ha subito un durissimo colpo in Borsa quando ha annunciato che nelle attuali condizioni macroeconomiche il prossimo trimestre sarà deludente dal punto di vista della raccolta pubblicitaria. La capitalizzazione delle altre piattaforme ha parallelamente subito importanti colpi. È evidente che il cambio di tendenza congiunturale si fa sentire. Inflazione, diminuzione dei tassi di crescita, incertezza geopolitica sono tutti fattori che inducono gli inserzionisti pubblicitari a rallentare gli investimenti. E dopo due anni di crescita impetuosa, la capitalizzazione delle aziende digitali non poteva che trovarsi di fronte a una forte correzione. Ma questo significa che la difficoltà delle piattaforme che si basano fondamentalmente sulla pubblicitaria è soltanto transitoria?

La risposta si troverà nella combinazione dei due fattori citati che conduce a una domanda di fondo: quanto è forte la domanda di informazione di maggiore qualità e quanto è debole il modello di business basato solo sulla pubblicità?

La pubblicità è sempre legata alla congiuntura. Attualmente il mercato globale della pubblicità digitale vale circa 520 miliardi, riporta il Financial Times. Ed è molto concentrato. Il fatturato sommato di Google (Alphabet) e Facebook (Meta) vale circa 360 miliardi ed è appunto largamente basato sulla pubblicità. Probabilmente in fase di contrazione saranno i piccoli raccoglitori di pubblicità a soffrire di più e la concentrazione potrà aumentare ulteriormente, a meno di importanti cambiamenti tecnologici.

Nello stesso tempo si osserva che l’ecommerce cresce e continua a farlo. Secondo CB Insights sta crescendo del 10% annuo e arriverà a 7.000 miliardi nel 2025. Un abbondante ordine di grandezza in più rispetto alla pubblicità. I modelli di business basati sull’ecommerce hanno evidentemente più spazio davanti, più competitori e meno concentrazione. È possibile che l’ecommerce possa essere uno spazio per la crescita di nuovi editori o di editori tradizionali capaci di cambiare?

È possibile nella misura in cui la qualità del loro servizio convinca il pubblico a comprare l’informazione invece di cercarla gratuitamente su piattaforme che non sono votate al valore delle notizie ma alla alla semplice ricerca dell’attenzione da rivendere ai pubblicitari. È possibile se potranno sviluppare in modo credibile e indipendente le nuove funzioni orientate al supporto ai consumatori nella ricerca delle migliori offerte commerciali. Ed è possibile se riconquisteranno la concentrazione sulla qualità dell’informazione anche a costo di sganciarsi dalla ricerca di pubblicità che in qualche caso li ha spinti ad abbassare la qualità per cercare attenzione.

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