Esattamente 45 anni fa,il 22 maggio 1978, entrava in vigorenel nostro Paese laLegge 194, che sancisce lapossibilità di interrompere volontariamente una gravidanzain una struttura pubblica, entro 90 giorni dal concepimento. Giungere a quella decisione storica, che permise alle donne di acquisire undiritto fondamentale, non fu semplice, ma possibile solo dopoanni di proteste, lottefemministee scontri accesi nelle sale della politica. Da alcuni anni, però, è netta la sensazione, suffragata da numeri e fatti difficilmente confutabili, che quel diritto non venga più considerato così inviolabile e che lavolontàdella stessa politica siadi rimetterlo in discussione. “Nessuno toccherà la 194” è stato detto a più riprese, dimenticando chemodificare una legge non è l’unico modo per rendere la vita di chi ne usufruisce complicata.Lo sanno bene le donne che vivono in Regioni in cui la maggior parte degli ospedali è ad appannaggio dimedici obiettori, o quelle sulla cui decisione di abortire si abbatte la scure del pregiudizio e dello stigma sociale. Meno, forse, ne sono consapevoli coloro che reputano l’aborto non un diritto e che magari sognano di tornare altempo in cui si poneva fine a una gravidanza indesiderata illegalmente, in uno scantinato o nei retrobottega dei negozi. Tempo nel qualegli aborti erano più numerosi di quelli odierni, a testimonianza del fatto che rispedirli nel campo dell’illegalità non significa eliminarli ma solo renderli meno sicuri. A dirlo sono i numerosi studi in merito, come quello delGuttmacher Institute,secondo il qualedei 73 milioni di aborti che si compiono nel mondo ogni anno, 25 milioni sono illegalie all’interno di questi39.000 finiscono con la morte della donnae 7 milioni con la corsa in ospedale per complicazioni. Inoltre, se si confronta il numero di IVG (Interruzione volontaria di gravidanza) eseguite nei Paesi dove non sono consentite e quelli dove invece lo sono, le cifre sono quasi sovrapponibili. Insomma,vietare l’abortonon serve a eliminarlo, ammesso sia questo l’obiettivo di chi oggi prova a metterlo in discussione. Le donne infatti hanno sempre abortito, sempre lo faranno, e nessuna restrizione potrà cambiare questo fatto. L’unica cosa da chiedersi è come vogliamo che ciò avvenga. Se in sicurezza o meno. Una mano a capirlo può arrivarci dallastoria. Se per quanto riguarda l’antichità non si hanno notizie specifiche,all’inizio del ‘900 erano le stesse levatriciche si occupavano dei parti a praticare gliabortinelle proprie case. In epoca fascista,poi, la riproduzione divenne un affare di Stato eil codice penale Rocco rese l’aborto un reato contro l’integrità e la sanità della stirpe, punibile con la reclusione da 2 a 5 anni per la donna e per l’esecutore materiale. Pena rimasta in vigore fino al 1978, riguardante un reato che veniva però sistematicamente compiuto. Tante le testimonianze in merito, alcune raccolte nel libro di Rosetta Papa,La ragazza con il piercing al naso. Storie di donne a Sud della salute, tra le quali spicca quella di Giuseppina, appartenente a unperiodo storico in cui gli uomini disponevano spesso deicorpi femminilicome desideravano e alle donne non restava che occuparsi delle conseguenze. Giuseppina racconta di aver avuto13 aborti, 10 prima della legge, e quindi illegalmente,praticati con un laccioda parte di quelle che venivano chiamatemammane.Su un tavolo,senza anestesia ma con tanto dolore e la paura ogni volta di non sopravvivere.Non dormire la notte successiva all’intervento era il consiglio più gettonato, perché se si verificava un’emorragia nel sonno e non ce ne si accorgeva si poteva morire. L’altro (più che un consiglio era un obbligo) era di non rivelare mai dove lo si era fatto e a chi ci si era rivolte.Lacci, mestoli, cucchiai, ferri per lavorare a maglia.Gli strumenti che provocavano gli aborti erano tanti e tutti molto pericolosi. I racconti più celebri di ciò che accadeva nell’Italia pre 1978appartengono però aEmma Boninoche, oltre ad aver abortito lei stessa quando non sarebbe stato possibile, ha aiutato molte donne negli anni della disobbedienza civile portata avanti dalPartito Radicalee dalCisa, il Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto del quale faceva parte. Nota la polemica in merito alla foto di una Bonino giovanissima chepratica una IVG con la pompa di una bicicletta, una scena senza alcun dubbio cruda ma che testimonia una tecnica che, seppur con le dovute differenze, non si discosta enormemente da quella usata oggi per gli aborti chirurgici. Come ha spesso raccontato la senatrice, alle donne poco importava come lo si facesse ma solo porre fine a una gravidanza non voluta. E a chi le addossa la colpa di migliaia di bambini mai nati ha sempre replicato con un lapidario «non ho inventato io questa pratica, mi sono solo battuta per renderla meno pericolosa». Un pericolo che molte, anche in Italia, ancora oggi conoscono perché benché fortemente ridimensionati,gliaborticlandestini non sono del tutto spariti.Secondo il Ministero della Saluteogni anno sarebbero circa 10.000ma l’impossibilità del tracciamento rende probabile chei numeri siano molto più alti, soprattutto in alcune fasce di popolazione, come quella dellemigranti, spesso non intercettate dal Sistema Sanitario Nazionale a causa della barriera linguistica e culturale e delle maglie della democrazia, difficili da sbrigliare per tutte e ancor più per loro. Lo stesso vale per chi èvittima diviolenza, che per questo necessita di aborti veloci, discreti e spesso incompatibili con gli iter di oggi, o per legiovanissimeche, volendo interrompere una gravidanza indesiderata di nascosto dai genitori, finiscono per reperire in rete farmaci non sempre idonei e ingerirli in modo scorretto. Esattamente come un tempo, anche oggi gli aborti clandestini comportano una componente di rischio non più tollerabile. Estinguerli del tutto forse è utopico ma ridurli no e l’unica strada per farlo è quella di garantire sempre più questo diritto,non ostacolare la legge 194 ma adattarla ai tempi che stiamo vivendo, facendo informazione e spingendo le donne a non vergognarsi dei propri aborti.
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