Diritti

Di cravatte e braccia scoperte

L’episodio della giornalista espulsa dalla Camera per aver indossato un tubino smanicato ci offre lo spunto per riflettere sulla nostra idea di decoro
Nel "lontano" 2014 tre deputate protestano vestite di bianco per le quote rosa: Laura Ravetto, Gabrielle Giammanco e Giuseppina Castiello
Nel "lontano" 2014 tre deputate protestano vestite di bianco per le quote rosa: Laura Ravetto, Gabrielle Giammanco e Giuseppina Castiello Credit: via: editorialedomani.it
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25 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

L’episodio da cui partiamo oggi risale alla settimana scorsa, ma vale la pena di tornarci su. Lisa Di Giuseppe è una collaboratrice di Domani, e il 20 maggio era, come spesso succede, in aula alla Camera per seguire i lavori della giornata. Una funzionaria lì presente le ha fatto segno di coprirsi le braccia, lasciate libere dal tubino nero che indossava: non avendo un giacchetto con sé – a Roma, come nel resto dell’Italia, fa un caldo completamente fuori stagione – è stata costretta a lasciare l’aula.

Un provvedimento umiliante, che Di Giuseppe ha poi raccontato in un articolo, e che le è valso le scuse – tardive – delle istituzioni, ma che è stato liquidato con una certa leggerezza. Non sono, anzi, mancate le donne che hanno fatto notare come il “decoro” sia importante, e se gli uomini che entrano a Montecitorio devono indossare la giacca, allora coprirsi le braccia è giusto, perché “questa è parità”.

Il regolamento della Camera, com’è noto, non contiene prescrizioni per l’abbigliamento femminile. Il “giacca e cravatta” dei maschi non ha un equivalente per le femmine, un lascito evidente dei tempi in cui le donne nelle istituzioni erano rara avis, e non necessitavano certo di un dress code specifico. Le poche che vi hanno fatto ingresso – ivi inclusa la brevemente onorevole Ilona Staller detta Cicciolina – si sono sempre vestite in maniera molto conservatrice. Erano poche anche le giornaliste, e anche per loro vale lo stesso discorso: presentarsi al lavoro vestite in modo sobrio e decoroso è quasi un automatismo, i nostri corpi sono già al centro dell’attenzione anche quando sono coperti, e l’ambiente delle redazioni dei quotidiani è molto maschile (e maschilista).

Di Giuseppe indossava, come dicevo, un tubino nero, che – ha precisato – risale alla sua laurea. Due sono le cose, o il tubino nero – la pizza margherita dei vestiti, più classico non si può – è diventato osé, oppure la funzionaria ha deciso che le braccia di una donna vanno coperte per questioni di decenza, una regola ormai inapplicata persino nelle chiese, figuriamoci alla Camera. Dove, appunto, non esistono indicazioni in materia.

Facciamo un passo di lato rispetto a questa idea di indecenza delle braccia femminili, lasciamo da parte persino il ritratto ufficiale di Michelle Obama alla Casa Bianca che tanto scalpore fece nel 2008 proprio per quelle braccia toniche lasciate scoperte dal tubino blu: l’immagine di una donna dinamica, moderna, forte. Andiamo alla ragione per cui alla Camera e al Senato i maschi entrano solo con la giacca, e i parlamentari maschi devono indossare obbligatoriamente giacca e cravatta. La giacca e la cravatta sono la manifestazione visiva del decoro di stampo occidentale, e per estensione della sobrietà e dell’affidabilità: una divisa che accomuna commercialisti, avvocati, impiegati di banca, agenti immobiliari e politici.

Anni e anni di corruzione operata in quasi perfetta impunità da uomini incravattati dovrebbero aver distrutto l’idea che un nodo di seta colorata stretto intorno al collo sia garanzia di onestà e trasparenza, e invece no, siamo ancora lì. La giacca e la cravatta separano il povero dal ricco, l’operaio dal dirigente, l’imprenditore dal manovale. Sono un marcatore di status, perché l’eleganza se la può permettere chi lavora con l’intelletto, non chi lavora con le mani.

Quello che chiamiamo “decoro” non è altro che la divisa delle èlite, che al contrario hanno spesso il vezzo di segnalare il loro potere vestendosi in maniera sciatta (ma costosa), come testimonia l’immagine indelebile di Mark Zuckerberg in ciabatte di gomma e calzino. Eppure anche Zuckerberg per testimoniare davanti al Congresso degli Stati Uniti si è messo giacca e cravatta. Per rispetto, certo, ma anche perché in quel momento si trovava in una posizione vulnerabile: trasmettere serietà era indispensabile. Non era lì a fare il tech bro che vi compra tutti, ma l’amministratore delegato di una multinazionale.

Quello che va o non va coperto dei corpi femminili e maschili, e come, è un costrutto sociale molto mutevole, ondivago, legato al clima politico, alla morale dominante, alla cultura. Le giornaliste afghane costrette a coprirsi il volto per comparire in televisione non stanno mostrando nulla di sconveniente per la nostra cultura, ma sono peccaminose per i talebani, che ritengono che le donne non possano abitare lo spazio pubblico e debbano essere relegate alla domesticità.

L’attribuzione di erotismo a gambe, braccia, capelli, collo, caviglie (a seconda dell’epoca) è di derivazione strettamente religiosa. Non c’è niente in un braccio, ma nemmeno in un seno, che sia di per sé sconveniente: l’attribuzione è arbitraria, è un riflesso di uno sguardo che vede le donne come oggetti sessuali e scarica su di loro il compito di governare il desiderio maschile, defletterlo e depotenziarlo. Un tic culturale particolarmente arbitrario nel 2022, soprattutto a fronte di una regola inesistente, mai nemmeno contemplata.

Quindi torniamo a noi. Che senso ha, nel 2022, imporre limiti così rigidi all’abbigliamento? La giacca e la cravatta hanno ancora un significato, dopo due anni e passa di lavoro in remoto in cui ci si vestiva solo sopra e sotto c’era tutto un assortimento di tute e pigiami, pensare ancora che giacca e cravatta siano sinonimo di sobrietà e affidabilità?

Ma anche ammesso e non concesso che consideriamo indispensabile che i parlamentari di qualsiasi genere indossino una divisa, una forma di vestiario che sia abbastanza anonima da non attirare l’attenzione, la cravatta è necessaria? Ed è necessario che i giornalisti indossino la giacca per fare il loro lavoro, dato che sono lì solo per registrare quello che avviene in aula?

Io credo di no. E al di là della sessualizzazione del corpo femminile e del rigore soffocante imposto a quello maschile, forse dovremmo riflettere su cosa ci spaventa nell’eventualità che le nostre istituzioni possano abbandonare un’idea superficiale di decoro per puntare su qualcosa di più profondo. Ma devo essere onesta fino in fondo: le ciabatte di gomma, ecco, forse quelle no.

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