Economia

L’era dei consumi responsabili

Le grandi crisi di questi anni obbligano i governi a condividere le future strategie alimentari. E le persone i propri consumi individuali
Credit: Josh Wilburne/unsplash
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
24 maggio 2022 Aggiornato alle 08:00

Proprio ieri, qui su La Svolta, abbiamo affrontato il tema della trasformazione del paniere di consumo delle famiglie italiane a seguito degli eventi di questi ultimi anni, così come colti dall’indagine condotta da NielsenIQ. Emerge forte un dato condiviso, che possiamo rinvenire in una maggiore oculatezza da parte deə consumatorə italianə. e un atteggiamento conservativo, che è ricorrente in situazioni caratterizzate da elevata incertezza.

Gli indici dei prezzi dei cereali e della carne, nel mese di marzo, hanno raggiunto livelli record. Ma l’incremento dei prezzi che i consumatori italiani stanno già sperimentando rischia di essere solamente l’inizio di un processo che invece deve essere fermato.

Partiamo, come sempre, dai dati: prima dell’invasione russa, in Ucraina veniva prodotto il 12% delle esportazioni di grano, il 16% di quelle di mais, il 46% della produzione globale di olio di girasole. Ogni mese, 4,5 milioni di tonnellate di prodotti agricoli uscivano dai porti ucraini per raggiungere i mercati di tutto il mondo.

Grano bloccato in Ucraina: rischio fame nel mondo

Pochi giorni fa, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha ricordato che siamo di fronte a un rischio potenzialmente esplosivo derivante tre fattori: la carenza di grano e fertilizzanti causata dalla guerra, il riscaldamento delle temperature globali e i problemi di approvvigionamento causati dalla pandemia. Con quali effetti potenziali? Primo tra tutti, il rischio di far piombare decine di milioni di persone in una condizione di insicurezza alimentare.

Secondo i dati rilasciati dalla FAO, la crisi in Ucraina rischia di costringere alla fame fino a 12 milioni di persone in tutto il mondo: un terzo dei terreni agricoli dell’Ucraina potrebbe non essere coltivato (o la produzione non raccolta), con una perdita di un quinto della fornitura di grano del Paese. Con conseguenze preoccupanti: l’Ucraina fornisce cibo a 400 milioni di persone e la sua impossibilità di essere presente sul mercato crea volatilità. Senza considerare le tonnellate di grano provenienti dal raccolto precedente che, secondo l’ONU, sono attualmente bloccate e che, se rilasciate, potrebbero essere distribuite, allentando la pressione sui mercati globali.

Invasione, climate change, pandemia: come risolviamo?

Gli effetti dell’invasione vanno poi valutati in combinato con le conseguenze derivanti dal cambiamento climatico. Uno dei risultati più allarmanti della recente serie di rapporti dellIntergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è il seguente: la crisi climatica colpirà sempre più drammaticamente la sicurezza alimentare e la nutrizione in tutto il mondo. Il rapporto dell’IPCC sugli impatti climatici ha confermato che eventi estremi come inondazioni, siccità e tempeste hanno già esposto milioni di persone a grave insicurezza alimentare e malnutrizione.

Cosa dovremmo fare, a fronte di queste minacce? E chi dovrebbe agire? In primo luogo, banalmente, le istituzioni: i governi nazionali dovrebbero essere in grado di diagnosticare le sfide alla sicurezza alimentare e poi definire collettivamente un set di strategie condivise. Ma come sempre, tutti dobbiamo farci carico della nostra responsabilità individuale. a esempio, passando a un regime dietetico più sostenibile, che secondo molti studi potrebbe avere un enorme impatto globale.

Un esempio? Circa un terzo dei terreni coltivati ​​a livello mondiale viene utilizzato per nutrire il bestiame. Greenpeace stima che la riduzione dell’8% dell’uso di cereali per l’alimentazione animale nella sola Unione Europea consentirebbe di bilanciare i deficit di produzione derivanti dall’invasione in Ucraina. La soluzione, come spesso accade, inizia quindi anche da noi e dalle nostre scelte quotidiane.

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