Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente
Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente
Ambiente

Ciafani: «Dobbiamo investire sugli impianti industriali»

Secondo il presidente nazionale Legambiente, Roma deve dotarsi di strutture per potenziare la filiera dell’economia circolare. Rendendo, davvero, i rifiuti delle risorse
di Riccardo Liguori
Riccardo Liguori
Riccardo Liguori giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
19 maggio 2022 Aggiornato alle 09:00

Nei decenni passati, Legambiente non ha mai voluto considerare la soluzione della termovalorizzazione un ostacolo al ciclo dei rifiuti. «Abbiamo difeso la realizzazione di questi impianti negli anni ’90 e nei primi 2000, quando le raccolte differenziate e le impiantistiche di riciclo non erano così innovative nei risultati ottenuti e nella loro efficienza. Ma ora le cose sono cambiate», ha spiegato alla Svolta Stefano Ciafani, presidente nazionale dell’associazione ambientalista italiana.

Perché Roma si ritrova a dove gestire l’emergenza rifiuti?

Si tratta del frutto di politiche, sbagliate, degli ultimi 30 anni. Chi è senza peccato in questa città, scagli la prima pietra. La giunta Raggi ha peggiorato ulteriormente una situazione già imbarazzante, a causa di scelte fatte a metà degli anni ’90, quando in questa città governava il centrosinistra. Decisioni che delegarono in bianco il ciclo dei rifiuti al proprietario della discarica di Malagrotta, che garantiva al comune di Roma prezzi di conferimento dei rifiuti molto bassi.

Perché la raccolta differenziata non decolla?

Oltre a essere davvero modesta, la raccolta differenziata nella capitale è di pessima qualità, anche a causa di carenza impiantistica. Anche questo, dipende da scelte fatte 30 anni fa, poi peggiorate ulteriormente nei cinque anni di governo Alemanno e poi Raggi. La capitale deve liberare le sue strade dai cassonetti; deve domiciliarizzare la raccolta. Per questo, il Comune deve fare una scelta coraggiosa, contro la lobby del cassonetto, che ha ingessato il ciclo dei rifiuti in città.

È necessario poi far pagare le utenze domestiche e produttive con la tariffa puntuale, in base alla quale chi produce più rifiuti differenziati deve pagare di più: questo accade a Parma, città da 200.000 abitanti dove si realizza l’80% di raccolta differenziata.

In qualità di presidente di Legambiente, in che modo ha ribadito questi problemi all’attuale amministrazione della capitale?

Per esempio, abbiamo più volte incitato l’amministrazione comunale a non limitare il proprio impegno all’attivazione di due digestori anaerobici per produrre compost e biometano. Abbiamo spiegato che Roma avrebbe già dovuto attrezzarsi con impianti per avviare a riciclo i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, impianti per trattare i prodotti assorbenti per le persone, gli impianti per trattare le plastiche miste, impianti per trattare le terre da spazzamento. In tutta onestà, confesso che non abbiamo ancora capito perché il sindaco abbia deciso di imboccare la strada di un mega impianto di termovalorizzazione da 600.000 tonnellate che rischia di vanificare l’evoluzione della filiera del riciclo per i prossimi 30 anni.

In che modo il termovalorizzatore può compromettere l’impegno delle capitale verso una filiera virtuosa del riciclo?

Attivare un impianto di grandi dimensioni in una città che produce 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti implica che per i prossimi 30 anni Roma dovrà alimentare quel termovalorizzatore con 600.000 tonnellate di spazzatura. Bisogna però ricordare che i termovalorizzatori non sono elettrodomestici di cui puoi modulare la velocità. Una volta modulato, un termovalorizzatore viene spinto a lavorare al massimo delle sue capacità, 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno.

Scegliendo la strada del termovalorizzatore, Roma sarà esclusa da qualsiasi possibile e auspicabile sviluppo impiantistico innovativo che oggi non esiste e che domani potrebbe portare a riciclo i rifiuti che invece stiamo destinando alla termovalorizzazione.

Qualche esempio?

È il caso dei pannolini e degli assorbenti, che fino a poco tempo fa erano considerati i prodotti non riciclabili per eccellenza. Oggi invece l’Italia vanta, in provincia di Treviso, l’unico impianto al mondo per avviare a riciclo i prodotti assorbenti per le persone. Fino a qualche anno fa le plastiche miste potevano essere solo bruciate: oggi c’è una tecnologia di gassificazione che trasforma i rifiuti in prodotti chimici, in grado quindi di trasformare le plastiche in idrogeno e metanolo.

Per tutto ciò, bisogna però costruire degli impianti.

Certamente. Roma ha bisogno di nuovi centri comunali di raccolta ma anche di attivare tanti impianti industriali: almeno altri due impianti di digestione anaerobica, per arrivare a poter gestire 500.000 tonnellate l’anno di organico differenziato, poi impianti per trattare i rifiuti tecnologici, vere e proprie miniere di metalli preziosi e terre rare. Bisogna dar vita a impianti per trattare le terre da spazzamento, i prodotti assorbenti per le persone e poi bisogna spingere affinché il combustibile che finirebbe nel termovalorizzatore vada ad alimentare gli impianti di gassificazione, che permettono di recuperare le sostanze chimiche, come idrogeno e metanolo.

Si sente di dare qualche consiglio al sindaco Gualtieri?

Gualtieri ha ragione quando sostiene che l’economia circolare di Roma, impegnata a spedire i propri rifiuti per tutta la Penisola, deve finire. Ma l’economia circolare di Roma non si realizza con un termovalorizzatore da 600.000 tonnellate, bensì con molti impianti industriali, che riciclano i rifiuti. Come, peraltro, ci chiede l’Europa.

In Toscana, dopo che a Firenze un’avvertenza ha impedito la costruzione di un termovalorizzatore (voluto dalla giunta precedente), sono stati costruiti 32 impianti industriali per risolvere il problema della mancata realizzazione del termovalorizzatore di Firenze. Da questo punto di vista, il comune di Roma e la regione Lazio dovrebbero ispirarsi a ciò che regione Toscana e comune di Firenze hanno, saggiamente, scelto.

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