Diritti

Torna il burqa in Afghanistan, ma si protesta solo a Kabul

In nove mesi i talebani hanno imposto i divieti di 20 anni fa. Dai grandi del mondo, solo una dichiarazione
Una donna afghana che indossa il burqa cammina in una strada di Kabul.
Una donna afghana che indossa il burqa cammina in una strada di Kabul. Credit: EPA/STRINGER
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
13 maggio 2022 Aggiornato alle 21:00

Se lo scorso agosto, quando Kabul è stata occupata e l’Afghanistan conquistato, i talebani avevano promesso il rispetto dei diritti delle donne, nove mesi dopo possiamo tirare le somme e concludere che no: le afghane non sono libere.

Il 10 maggio, circa dodici donne sono scese per le strade di Kabul al grido di «Il burqa non è il nostro hijab», per protestare contro l’obbligo di velarsi completamente.

«Vogliamo vivere come esseri umani, come creature nobili, non come animali tenuti prigionieri in un angolo della casa, mentre i nostri mariti vanno a pregare per il cibo», ha dichiarato Saira Sama Alimyar, una delle manifestanti. Il piccolo corteo è stato bloccato dai soldati talebani dopo circa 200 metri.

Il 7 maggio è stato imposto alle donne del Paese l’obbligo di indossare il burqa in pubblico, costringendole d’ora in avanti a velarsi per intero dalla testa ai piedi. In caso di trasgressione, sono i loro tutori maschi a subire le conseguenze (con la possibilità di incarcerazione fino a tre giorni).

«Per tutte le donne afghane dignitose, indossare il velo è necessario e il miglior velo è il chadori (burqa) - ha spiegato in una dichiarazione Shir Mohammad, funzionario del Ministero della virtù e della prevenzione del vizio - Le donne che non sono troppo anziane o giovani devono coprire i proprio volti tranne gli occhi».

Il decreto, inoltre, prevede che le donne evitino il più possibile di uscire di casa qualora non abbiano un lavoro “importante”: «I principi islamici e la sua ideologia per noi sono più importanti di qualsiasi altra cosa», ha detto Khalid Hanafi, ministro a interim del Ministero virtù e vizi.

In questi nove mesi i diritti delle donne sono stati limitati nell’abbigliamento, nell’istruzione, nello sport e nella libertà di movimento.

L’8 settembre i talebani hanno vietato alle donne di praticare sport, per evitare che corpi e volti risultassero scoperti e loro stesse esposte a eventuali immagini da parte dei media. A novembre è stata vietata la messa in onda di programmi tv con donne, mentre alle giornaliste televisive è stato imposto l’obbligo di indossare il velo.

Sempre per evitare l’eccessiva esposizione, a dicembre sono state rimosse le immagini dei volti delle donne dai cartelloni pubblicitari e dalle vetrine dei negozi di Kabul. In quello stesso mese, è stato anche vietato loro di percorrere più di 72 km di strada se non accompagnate da un uomo. Questo divieto è stato poi esteso anche ai voli aerei.

C’è poi la questione istruzione. A marzo i talebani hanno posticipato la riapertura delle scuole secondarie femminili «fino a nuovo avviso, quando verrà sviluppato un piano in conformità con la Sharia e la cultura afghana». A febbraio, alcune università hanno riaperto e alle studentesse è stato concesso di frequentare le lezioni, a patto che si svolgano in classi separate rispetto a quelle maschili.

Queste limitazioni si sono riversate anche nel mondo lavorativo dove le donne sono state quasi del tutto estromesse, sempre in virtù dell’interpretazione della legge islamica.

Tuttavia, come riporta il Guardian, in alcuni ospedali femminili di Kabul ci sono ancora dottoresse e infermiere: «Anche i talebani sanno che hanno bisogno di noi», ha detto al quotidiano britannico Jagona Faizli, ginecologa in un ospedale di maternità.

Dal G7 è arrivata una condanna, solo due giorni fa, in occasione della riunione dei ministri degli Esteri. “Con queste misure, i Talebani si stanno ulteriormente isolando dalla comunità internazionale“, ha dichiarato Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

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