Ambiente

Green economy: ecco perché l’Italia è troppo lenta

Il report della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile: digitalizzazione scarsa, lenta diffusione delle rinnovabili, dispersione di acqua in aumento. Note positive: cresce la vendita di auto elettriche e prodotti bio
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In Italia la green economy fatica a crescere. È quanto emerge dal report annuale della Fondazione per lo sviluppo sostenibile: il livello della tecnologia digitale è basso rispetto agli altri paesi europei, la diffusione dei nuovi impianti di energia rinnovabili si è rallentata, la dispersione di acqua dalla rete di distribuzione è in aumento. Le uniche note positive riguardano la crescita della vendita di auto elettriche e di prodotti biologici.

I dati del report sono stati resi noti durante la decima edizione degli ‘Stati Generali della Green Economy’, che si è svolto il 26-27 ottobre, a Rimini, nell’ambito di ‘Ecomondo’ la più importante fiera italiana dedicata all’economia circolare.

Il resoconto della Fondazione viene reso pubblico proprio alla vigilia del COP26, l’attesissimo incontro dedicato al Climate Change, che si tiene a Glasgow dal 1 al 12 novembre, che dovrebbe segnare il destino delle politiche ambientali dei prossimi anni, e dell’avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che porterà grandi finanziamenti nel settore della Sostenibilità.

Come tutti gli anni, anche Rete Ambiente ha partecipato a ‘Ecomondo’ con un ricco palinsesto di iniziative tra cui: la presentazione della SAFTE - Scuola di Alta Formazione per la Transizione Ecologica realizzata insieme all’Università di Bologna, che ha l’obiettivo di diffondere e valorizzare la cultura della sostenibilità e guidare le strategie aziendali verso uno sviluppo innovativo e sostenibile nelle principali industrie; il nuovo numero del trimestrale Materia Rinnovabile, diretto da Emanuele Bompan, dedicato all’edilizia circolare, sviluppato insieme a Green Building Council Italia; la presentazione del libro “Le parole della Transizione ecologica” di Roberto Cavallo, edito da Edizioni Ambiente.

Nel report annuale realizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, curato da Edo Ronchi, presentato agli ‘Stati Generali della Green Economy’, viene dedicata un’attenzione particolare alla trasformazione digitale, infatti, un maggiore e migliore utilizzo della digitalizzazione è indispensabile per realizzare i cambiamenti decisivi della transizione ecologica. La crescita della digitalizzazione comporta, è vero, rilevanti consumi di energia e di materiali, ma l’International Telecommunication Union, un organismo delle Nazioni Unite, stima un potenziale di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 generato dalle soluzioni Ict pari al 20% delle emissioni di CO2, circa 12 GtCO2, molto superiori alle emissioni connesse ai consumi elettrici del settore: lo sviluppo della digitalizzazione è, quindi, un fattore rilevante anche per arrivare a un’economia climaticamente neutrale. Ecco il report completo della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

L’Italia, fanalino di coda della digitalizzazione

L’Italia non primeggia in Europa per le performance in tecnologie digitali. Secondo un’indagine della Commissione europea risulta, infatti, sotto la media della classifica europea e in coda per la digitalizzazione, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria. Il ritardo dell’Italia nella digitalizzazione, rispetto agli altri grandi Paesi europei, è un gap da superare per realizzare la transizione ecologica, per gli alti potenziali dell’impiego della digitalizzazione nella transizione energetica climaticamente neutrale, nello sviluppo dell’economia circolare, nella mobilità urbana sostenibile, nelle green city e nell’agricoltura di qualità ecologica.Il Focus della Relazione sullo stato della green economy 2021 riguarda il rapporto fra la transizione green e la trasformazione digitale: i due pilastri del Green Deal europeo. In modo più accentuato nel dibattito italiano, rispetto a quello europeo, questi due pilastri son stati presentati e, in genere, gestiti nell’impostazione del nostro Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) come separati, con poca attenzione alle connessioni che li legano. Con questo focus ci proponiamo di contribuire a superare questa rilevante carenza. La digitalizzazione è molto importante per lo sviluppo della green economy, in tutti i suoi aspetti strategici: un maggiore e migliore utilizzo della digitalizzazione è indispensabile per realizzare i cambiamenti decisivi della transizione ecologica.

Siamo ben consapevoli che la crescita della digitalizzazione comporta anche rilevanti consumi di energia e di materiali. Secondo l’International Telecommunication Union – un organismo delle Nazioni Unite – i consumi dell’ecosistema Ict in termini di ciclo di vita arriverebbero a circa l’8% della domanda mondiale di elettricità: una cifra considerevole, e in aumento. Affinché questo consumo di energia non generi rilevanti impatti climatici è necessario prestare maggiore attenzione alle misure per aumentare l’efficienza energetica e per evitare sprechi nella digitalizzazione, nonché a utilizzare elettricità da fonti rinnovabili. Sempre lo stesso studio stima, tuttavia, un potenziale di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 generato dalle soluzioni Ict pari al 20%, circa 12 GtCO2, molto superiori alle emissioni connesse ai consumi elettrici del settore: lo sviluppo della digitalizzazione è quindi un fattore rilevante anche per arrivare a un’economia climaticamente neutrale.

La Commissione europea ha monitorato al 2020 le performance di digitalizzazione nei Paesi membri con un indice composito che valuta il tasso di connettività, la diffusione delle capacità di utilizzo, l’utilizzo di internet, l’uso integrato delle tecnologie digitali per diversi impieghi e la diffusione dei servizi pubblici digitali. L’Italia risulta sotto la media della classifica europea e in coda per la digitalizzazione, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria. Il ritardo dell’Italia nella digitalizzazione, rispetto agli altri grandi Paesi europei, è un gap da superare per realizzare la transizione ecologica, per gli alti potenziali dell’impiego della digitalizzazione nella transizione energetica climaticamente neutrale, nello sviluppo dell’economia circolare, nella mobilità urbana sostenibile, nelle green city e nell’agricoltura di qualità ecologica.

Nel comparto energetico la digitalizzazione consente di migliorare i modelli previsionali per la generazione delle rinnovabili non programmabili, di diffondere sistemi intelligenti di connessione tra domanda e offerta di energia anche in ottica di diffusione dei prosumer, delle comunità energetiche e di sviluppo di sistemi di ricarica intelligente delle auto elettriche. Negli ultimissimi anni l’Italia, che prima era molto indietro rispetto ad altri Paesi europei, sta facendo grandi progressi. La transizione digitale consente di incentivare e accelerare i processi di transizione energetica e di Deep Energy Renovation verso sistemi intelligenti e diffusi, alle diverse scale, volti alla riduzione delle emissioni di gas serra e a promuovere progettazioni integrate in grado di ottimizzare la risposta energetico- prestazionale passiva, di valorizzare le risorse energetiche recuperabili sul territorio e di incentivare l’adozione di metodi di progettazione basati su “Simulation e Modelling”. La digitalizzazione contribuisce a controllare e massimizzare l’efficienza energetica degli impianti e la conversione ad apparecchiature ed elettrodomestici ad alta efficienza energetica, a migliorare l’efficienza dei sistemi di illuminazione, a sviluppare sistemi di automazione e domotica per monitorare i consumi energetici e per interfacciarsi digitalmente con l’utente, ad adeguare le infrastrutture di distribuzione elettrica alla crescente elettrificazione dei consumi domestici, a ridurre e gestire la domanda energetica attraverso sistemi di monitoraggio e interfacce intuitive per gli utenti.

Lo sviluppo della digitalizzazione è di grande importanza per costruire un’economia più circolare. La digitalizzazione agevola il ricorso all’eco-progettazione e allo sviluppo della tecnologia blockchain che consente una trasmissione più sicura dei dati e maggiore divulgazione della conoscenza attraverso piattaforme di scambio o di accesso a strumenti di misurazione come le banche dati per il Life Cicle Assessment (Lca). Nella fase della produzione la digitalizzazione consente una riduzione degli scarti, un aumento dell’efficienza dell’impiego dei materiali grazie anche a sistemi di misurazione in continuo e a distanza degli output della lavorazione. Piattaforme per lo scambio di informazioni sono utili allo sviluppo della simbiosi industriale e, più in generale, l’uso delle tecnologie digitali consente di sviluppare tracciabilità, rintracciabilità e mappatura delle risorse e una migliore pianificazione dei flussi di materiale, ottimizzando i trasporti e la gestione dei depositi. Nella fase del consumo la digitalizzazione permette etichettature affidabili e consultabili mediante strumenti elettronici, passaporti digitali dei prodotti che indicano le corrette modalità di utilizzo del prodotto, software che consentono di sviluppare sistemi per il riutilizzo, piattaforme per la sharing economy. Per la fase del rifiuto e dei materiali riciclati, infine, le soluzioni informatiche possono risultare molto utili per il corretto conferimento, la gestione, la tracciabilità, il riutilizzo e il riciclo.

La rivoluzione digitale può essere considerata la terza rivoluzione dei trasporti dopo quella del treno e dell’automobile. Le nuove tecnologie hanno consentito, infatti, l’affermazione di servizi di mobilità innovativi in grado di allargare l’offerta di modalità di spostamento condivise in grado di competere su alcuni dei terreni elettivi dell’automobile personale come l’uso on-demand, l’uso dall’origine alla destinazione del tragitto, la possibilità di utilizzare la soluzione più adatta allo spostamento da compiere (per esempio un’auto, un ciclomotore, una bicicletta o un monopattino). Si tratta di un capovolgimento che può mettere di nuovo in discussione il primato della mobilità individuale basata sull’automobile rispetto a quella come servizio condiviso. Lo sviluppo e la diffusione della tecnologia digitale rappresentano un’innovazione decisiva per aumentare il grado di intermodalità e multimodalità dei sistemi di trasporto, moltiplicando e creando nuove soluzioni in grado di colmare il divario di preferenza tra mobilità motorizzata personale e mobilità condivisa.

La digitalizzazione è una componente essenziale della green city. Le smart grid aiutano a gestire i consumi energetici, contatori e tubi intelligenti contribuiscono a monitorare la qualità dell’acqua e a rilevare le perdite, i sensori smart migliorano la fluidità del traffico, l’efficienza dei trasporti e le rotte di raccolta dei rifiuti solidi urbani, le applicazioni mobili consentono ai cittadini di segnalare i problemi in tempo reale e comunicare direttamente con i servizi urbani, la telemedicina migliora i risultati e diminuisce i costi per la salute, le piattaforme di car sharing favoriscono una mobilità più sostenibile, gli Early warning systems possono migliorare la preparazione, la risposta e la ripresa dopo eventi atmosferici estremi.

La digitalizzazione in ambito urbano non si limita solo alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ma costituisce un’occasione anche di innovazione sociale volta a creare nuove forme di cooperazione con e tra i cittadini, a migliorare l’efficienza amministrativa e la trasparenza delle scelte delle amministrazioni locali. In questo senso l’innovazione tecnologica può accompagnare una maggiore capacità dei Comuni di coinvolgere vari stakeholder (imprese, Università e enti di ricerca, associazioni e cittadini) nelle scelte di policy e di pianificazione.

La digitalizzazione in agricoltura, infine, sta assumendo un ruolo di primo piano all’interno delle politiche nazionali ed europee. La nuova Pac e la strategia “Farm to Fork” attribuiscono al digitale un ruolo importante per raggiungere una maggiore sostenibilità ecologica dell’agricoltura. Le tecnologie digitali possono aiutare gli imprenditori agricoli a fornire alimenti sicuri, sostenibili e di qualità, cercando quel giusto mix di “produrre di più con meno”, contribuendo anche a una migliore gestione ambientale nel mantenimento del territorio attraverso l’ottimizzazione della gestione delle risorse. Agricoltura 4.0 rappresenta l’insieme di strumenti e strategie che consentono all’azienda agricola di impiegare in maniera sinergica e interconnessa tecnologie avanzate con lo scopo di rendere più efficiente e sostenibile la produzione. Nella pratica, adottare soluzioni 4.0 in campo agricolo comprende, a esempio, poter calcolare in maniera precisa qual è il fabbisogno idrico di una determinata coltura ed evitare gli sprechi. Oppure, permette di prevedere l’insorgenza di alcune malattie delle piante o individuare in anticipo i parassiti che potrebbero attaccare le coltivazioni, aumentando l’efficienza produttiva. Nonostante la consapevolezza dei vantaggi sia ormai acclarata, la digitalizzazione dell’agricoltura fatica ad affermarsi in Italia. Ci sono però segnali incoraggianti. Dopo un avvio molto stentato rispetto ai nostri competitor europei, adesso sta crescendo con un buon ritmo anche in Italia.

La Green Economy durante la pandemia

La pandemia è alla base del calo delle emissioni di gas serra in Italia del 9,8% nel 2020 rispetto al 2019. Lo stesso registrato in media nel resto dell’Europa. La riduzione principale di tali emissioni, -16,8%, è avvenuta nel settore dei trasporti insieme a un -12,6% nella generazione di elettricità. Le emissioni di gas serra industriali sono diminuite di circa il 10%, mentre quelle generate dal riscaldamento degli edifici sono scese di circa il 6%. Tuttavia le prime stime per il 2021 sembrano segnalare un deciso rimbalzo delle emissioni complessive: il 6% a fronte del +5,2% del Pil, la crescita più alta mai registrata almeno negli ultimi trent’anni. Quindi, già quest’anno l’Italia potrebbe annullare oltre la metà del calo delle emissioni del 2020, pur rimanendo ancora al di sotto dei livelli emissivi del 2019. Rispetto alle emissioni del 1990 la riduzione complessiva al 2020 si attesta al 28,8% (19% + 9,8%). Se l’Italia recepisse il nuovo target europeo di riduzione del 55% al 2030, dovrebbe quindi tagliare le proprie emissioni entro i prossimi dieci anni del 26,2%: dovrebbe notevolmente accelerare per passare dal calo medio annuo di circa l’1% delle sue emissioni di gas serra degli ultimi trenta anni al 2,6% all’anno nei prossimi dieci anni. Nonostante il taglio causato dalla pandemia, dobbiamo ancora correre.

Né la riduzione delle emissioni dovuta alla pandemia è stata sufficiente a fermare l’aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera: la crisi climatica è quindi peggiorata. L’Italia si mantiene su una crescita della temperatura media più che doppia in relazione al trend globale: circa 1,7°C rispetto all’inizio degli anni ’80, contro una media globale di +0,7°C. L’Italia, insieme agli altri Paesi del bacino del Mediterraneo, continua a essere uno dei più esposti agli impatti della crisi climatica. Nel nostro Paese nel 2020 gli eventi estremi connessi ai cambiamenti climatici sono stati circa 1.300.

Rallenta la crescita di impianti rinnovabili in Italia

Nel 2020 in Italia il consumo da fonti rinnovabili si sarebbe attestato intorno ai 21,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), circa 0,4 Mtep in meno rispetto all’anno precedente: anche il 2020 conferma la bassa crescita delle rinnovabili, da quasi un decennio. Inoltre, nel 2020, secondo le stime preliminari, l’Italia ha installato solo circa 800 MW di nuovi impianti per rinnovabili elettriche, un trend preoccupante a maggior ragione se confrontato con i partner europei: +6.600 MW in Germania, +4.300 in Spagna, +1.900 in Francia. Per raggiungere il target europeo al 2030 l’Italia dovrebbe aumentare i nuovi impianti almeno a 6.000 MW annui per i prossimi dieci anni.

Secondo stime del Mise nel 2020 i consumi primari di energia in Italia si sarebbero ridotti del 9,2% rispetto all’anno precedente: un calo in linea con quello del Pil (-8,9%), a conferma che la contrazione dei consumi di energia è stata causata dalla crisi generata dalla pandemia. I prodotti petroliferi, in particolare quelli a uso nei trasporti, hanno fatto registrare il calo maggiore: i consumi di benzina sono diminuiti del 21% e quelli di diesel del 16%, mentre il carboturbo, utilizzato nel trasporto aereo, è sceso di oltre il 60%. Più contenuta è stata la riduzione dei consumi di energia elettrica e di gas, anche a causa delle temperature più rigide nell’ultimo trimestre 2020 che hanno spinto di nuovo in alto i consumi per riscaldamento. Oltre che anno di pandemia, il 2020 è stato anche l’anno in cui è diventato operativo il super Ecobonus del 110% per le riqualificazioni energetiche degli edifici. Nel corso di una audizione parlamentare, Enea ha presentato alcuni dati a consuntivo fino a giugno 2021 secondo i quali a quella data sarebbero stati ammessi alla detrazione del 110% circa 19.000 interventi, di cui poco più del 50% su edifici unifamiliari, il 38% su unità immobiliari indipendenti e il restante 10% circa su condomini. In termini economici si tratta di circa 2,5 miliardi di euro di lavori ammessi a detrazione, di cui il 40% relativi a interventi su condomini, il 36% a edifici unifamiliari e la parte restante a unità indipendenti. Al momento non è ancora stato stimato l’impatto di questi interventi sui consumi energetici.

L’impegno delle città per il clima

Si stima che nelle città si producano due terzi delle emissioni globali di gas serra: nessun percorso di decarbonizzazione può prescindere da un loro pieno coinvolgimento. La sfida della neutralità climatica è un impegno decisivo per il futuro delle città, ma anche un’occasione di riqualificazione ecologica e di miglioramento dello sviluppo locale e del benessere per i cittadini. In vista della Cop26 di Glasgow, per promuovere un nuovo protagonismo delle città per il clima e sostenere un rinnovamento del Patto dei Sindaci aggiornato ai target al 2030 e al 2050, lo scorso 8 luglio è stata presentata dal Green City Network “La Carta delle città verso la neutralità climatica” che ha già ricevuto le adesioni di oltre 45 città italiane di diverse dimensioni. Sono cinque i principali ambiti di azione climatica per i quali la Carta prevede misure puntuali e una vasta gamma di strumenti: aggiornamento dell’impegno delle città per la transizione alla neutralità climatica secondo l’approccio multisettoriale, basato sulla elevata qualità ecologica; efficienza energetica e fonti rinnovabili; mobilità urbana più sostenibile con meno auto; economia circolare decarbonizzata; assorbimenti di carbonio.

L’Italia è seconda in Europa per l’utilizzo circolare di materiali

L’Italia ha una buona produttività delle risorse (misurata in euro di Pil per kg di risorse consumate): anche nel 2020 si è attestata al 1° posto fra i cinque principali Paesi europei, con 3,7 €/kg, davanti a Francia (3,3), Germania (3,0), Spagna (2,9) e Polonia (0,8). Nella Ue27 la produttività delle risorse per Pil prodotto tra il 2012 e il 2020 è aumentata da 1,8 a 2,2 €/kg, con un incremento del 20% e registrando una crescita costante negli anni. L’Italia, nello stesso periodo, rileva un incremento del 30%. Nel 2020 il consumo interno dei materiali (Dmc) in l’Italia è stato di 7,4 t/persona, seguita da Spagna (8,1), Francia (10,3), Germania (13,4) e Polonia (17,5). Nel 2019 sono stati riciclati in Italia 14 milioni di tonnellate (Mt) di rifiuti urbani, pari al 51% dei rifiuti prodotti. Rispetto ai cinque principali Paesi europei, il nostro si colloca al secondo posto dietro alla Germania. L’Italia, inoltre, supera la media Ue (48%) di tre punti percentuali. Secondo i dati forniti da Eurostat nel 2019 il tasso di utilizzo circolare dei materiali (Cmu), che misura il grado di impiego dei materiali riciclati all’interno dell’economia in relazione all’uso complessivo di materie prime, per l’Ue è dell’11,9%. Rispetto ai cinque principali Paesi europei, l’Italia per tasso di utilizzo circolare dei materiali è seconda, superiore alla media Ue, con il 19,3%, preceduta dalla Francia col 20,1%, ma davanti alla Germania con il 12,2%.

Triplicate le vendite di auto elettriche

Nel 2020 in Europa la vendita di nuove auto è scesa del 23,7%, in Italia del 28%, circa 530.000 immatricolazioni in meno rispetto al 2019, anche se la riduzione sembra rientrare nel 2021. Pare, invece, costante ormai la discesa delle vendite delle auto diesel – dal 53% del 2017 al 40% del 2019, fino al 33% del 2020 – e anche a benzina che passano dal 44% del totale immatricolato del 2019 al 38% dell’ultimo anno. Si avvantaggiano le alimentazioni alternative – Gpl/metano, ibrido, elettrico (full electric e plug-in) – che nel 2020 rappresentano quasi il 30% del nuovo immatricolato, contro il 16% dell’anno precedente. Il traino all’ascesa delle alimentazioni alternative è dato senza dubbio dalla penetrazione delle alimentazioni ibride, raddoppiate nel 2020 rispetto all’anno precedente, con 223.000 vendute, segnando il sorpasso sulle alimentazioni Gpl/metano. Altrettanto importante è la performance osservabile nel mercato delle auto elettriche: triplicate in un anno, dalle 17.000 unità del 2019 alle 60.000 circa del 2020, dallo 0,9 al 4,3% del mercato. Le auto elettriche vendute nei primi sei mesi di quest’anno hanno già superato le vendite di tutto il 2020 con circa 68.000 unità registrate. Analogo discorso vale per l’alimentazione ibrida, che al 30 giugno 2021 ha già raggiunto le vendite del 2020 e che in proiezione potrebbe traguardare i 500.000 veicoli alla fine dell’anno. Stime che vedrebbero le alimentazioni alternative, nel loro complesso, superare la quota del 40% del totale delle nuove registrazioni a fine anno.

Agricoltura, in Italia cresce ancora il biologico e la vendita di prodotti Dop e Igp

Nell’anno della pandemia il comparto agroalimentare nel suo complesso (che comprende agricoltura, silvicoltura e pesca e industria alimentare) ha registrato una contrazione contenuta del valore aggiunto, pari a -1,2% a prezzi correnti e -4% in volume. L’agricoltura italiana anche nel 2020 ha confermato il suo peso preminente nel panorama europeo: il valore aggiunto (31,4 miliardi di euro correnti) è il più elevato della Ue27, ancora superiore a quello della Francia (30,2 miliardi) e della Spagna (29,3 miliardi). Il valore della produzione è lievemente diminuito (56,3 miliardi, era 56,5 nel 2019) e il nostro Paese rimane al terzo posto in Europa dietro Francia (75,4 miliardi) e Germania (56,8 miliardi). Continua a crescere il biologico: al 31 dicembre 2019 le superfici coltivate con metodo biologico interessavano 1.993.236 ettari, con un incremento di circa il 2% rispetto all’anno precedente e del 78,9% rispetto al 2010. L’Italia si colloca al terzo posto, dietro Francia e Spagna, per estensione totale delle colture biologiche. E si conferma leader in Europa per numero di prodotti Dop, Igp, Stg: nel 2020 sono 848 (312 nel comparto del Food e 536 in quello del Wine), davanti a Francia (692) e Spagna (342).

In Italia aumenta la dispersione di acqua dalla rete di distribuzione

Nel IV Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia, del 2021, sono riportati i risultati di uno studio che ha analizzato 12 servizi ecosistemici (fornitura di biomassa legnosa, agricola, ittica, disponibilità idrica, impollinazione, regolazione del rischio di allagamento, protezione dall’erosione, regolazione del regime idrologico, purificazione delle acque da parte dei suoli, qualità degli habitat, sequestro e stoccaggio di carbonio, turismo ricreativo) e la loro variazione fra il 2012 e il 2018. Le stime evidenziano che si è verificata una diminuzione nel flusso di molti dei servizi analizzati, con un conseguente decremento dei valori economici generati. L’Italia è il Paese europeo che preleva la maggiore quantità di acqua dolce per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei (9,2 milioni di m3 nel 2018) e si colloca al secondo posto per valori di prelievo pro capite (153 m3/ab, mentre 20 Paesi su 27 hanno prelevato tra 45 e 90 m3 di acqua dolce per persona per l’approvvigionamento pubblico). Aumentano in Italia ininterrottamente anche le perdite della rete di distribuzione, che nel 2018 ammontano al 42% del volume immesso. A livello regionale si va dal 22,1% della Valle d’Aosta al 55,6% dell’Abruzzo. In 14 regioni l’acqua dispersa è maggiore del 40%, in dieci province questo valore si assesta su una cifra pari ad almeno il 55%. Secondo il Rapporto Ispra 2021, il consumo di suolo continua a trasformare il territorio nazionale con velocità elevate. Nel 2020, le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 56,7 km2, in media oltre 15 ettari al giorno, due metri quadrati di suolo ogni secondo. Il sequestro e stoccaggio di carbonio costituisce un servizio di regolazione assicurato dai diversi ecosistemi terrestri e marini grazie alla loro capacità di fissarlo. Tra il 2012 e il 2020 in Italia si stima una perdita di circa 2,9 milioni di tonnellate di carbonio immagazzinato a causa della variazione di uso e copertura del suolo.

Il Green Deal

Con il Green Deal, spina dorsale della politica della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, l’Europa punta a trasformare le sfide climatiche e ambientali in opportunità in tutti i settori, rendendo la transizione ecologica anche più inclusiva. Il Green Deal mira ad azzerare le emissioni nette di gas serra, a promuovere l’uso efficiente delle risorse, passando a un’economia green e circolare, e a ripristinare la perdita di biodiversità. L’Europa punta con il Green Deal a svolgere un ruolo di leadership nello sviluppo di un’economia decarbonizzata, prospera, competitiva e inclusiva. Nel marzo 2018, la Commissione europea ha adottato un Piano d’azione sulla finanza sostenibile che indica la tassonomia per la sostenibilità ecologica degli investimenti, in quanto contribuiscono a uno o più dei sei obiettivi ambientali e non ne danneggiano nessuno: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, sostenibilità e protezione delle risorse idriche e marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione/controllo dell’inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

Il 28 giugno di quest’anno il Consiglio Ue ha dato il via libera al regolamento – detto legge europea sul clima – che fissa nella legislazione europea gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 al 55% rispetto ai livelli 1990 e della neutralità climatica entro il 2050 e prevede che l’Unione stabilisca un obiettivo climatico intermedio per il 2040.

Il 14 luglio 2021 la Commissione europea ha adottato un pacchetto di proposte “Fit for 55” per implementare la legge sul clima. La Commissione propone di eliminare gradualmente le quote di emissione gratuite per il trasporto aereo e di includere le emissioni dei trasporti marittimi. Propone un nuovo sistema di carbon pricing e di scambio delle emissioni per i carburanti di origine fossile per il trasporto stradale e per i combustibili fossili per gli edifici. Una parte delle entrate del nuovo sistema di carbon pricing per il trasporto su strada e gli edifici dovrebbe servire per affrontare il possibile impatto sociale sulle famiglie vulnerabili, sulle microimprese e sugli utenti dei trasporti. La nuova proposta sull’uso del suolo, la silvicoltura e l’agricoltura fissa un obiettivo generale dell’Ue per l’assorbimento del carbonio a 310 MtCO2 entro il 2030. Vengono avanzati obiettivi specifici per l’uso delle energie rinnovabili nei trasporti, nel riscaldamento e raffreddamento, negli edifici e nell’industria. I criteri di sostenibilità per l’uso della bioenergia sono rafforzati. Per ridurre il consumo energetico complessivo, diminuire le emissioni e affrontare la povertà energetica, la contestuale direttiva sull’efficienza fissa un obiettivo annuale vincolante più ambizioso sul consumo energetico, quasi il doppio dell’obbligo attuale di risparmio per gli Stati membri. Il settore pubblico sarà tenuto a rinnovare il 3% dei suoi edifici ogni anno. Le emissioni medie delle nuove auto dovrebbero diminuire, rispetto al 2021, del 55% dal 2030 e del 100% dal 2035: le nuove auto immatricolate a partire dal 2035 saranno quindi a emissioni zero. Infine la Commissione propone un nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam) che dovrebbe fissare un prezzo del carbonio alle importazioni di una selezione mirata di prodotti per garantire che l’azione per il clima in Europa non porti a una rilocalizzazione delle emissioni.

La Commissione europea ha presentato contestualmente a Fit for 55 la proposta di aggiornamento per la Direttiva energie rinnovabili, Red II, che alza la quota di consumi finali che dovrà essere coperta dalle rinnovabili al 2030 dal 32% ad almeno il 40%. Con alcune eccezioni, il sostegno alla produzione elettrica da biomasse sarà gradualmente eliminato a partire dal 2026. La Commissione ha voluto anche rafforzare i criteri di sostenibilità per l’uso della bioenergia, applicando le norme già esistenti per la biomassa agricola anche alla biomassa forestale. Nel settore industriale l’obiettivo indicativo è di un aumento medio annuo delle rinnovabili di 1,1% con un target vincolante del 50% per i combustibili rinnovabili di origine non biologica, diversa dalla biomassa, utilizzati come materia prima o come vettore energetico. L’etichettatura dei prodotti dovrà indicare la percentuale di energia rinnovabile utilizzata. Nei consumi edilizi la nuova Direttiva chiede di fissare obiettivi nazionali coerenti con il nuovo target comunitario di fonti rinnovabili. L’autoconsumo, lo stoccaggio energetico locale e le comunità energetiche rinnovabili dovranno essere al centro delle politiche di ogni Paese. Nei trasporti l’obiettivo di riduzione dei gas a effetto serra al 2030 è del 13%. I biocarburanti avanzati dovranno essere almeno allo 0,2% nel 2022, allo 0,5% nel 2025 e al 2,2% nel 2030 e i combustibili rinnovabili di origine non biologica al 2,6%.

Lo scenario internazionale

L’andamento contradditorio delle misure di stimolo

Secondo l’Ocse nel 2020, per il rilancio dell’economia colpita dalla pandemia, sono stati stanziati circa 336 miliardi di dollari per misure positive per l’ambiente nella maggior parte dei Paesi membri: una somma considerevole che documenterebbe gli sforzi di diversi governi per garantire obiettivi climatici e ambientali oltre che economici. Tuttavia, segnala l’Ocse, quasi lo stesso importo è stato speso per misure valutate come negative per l’ambiente, o che hanno effetti misti, sia positivi sia negativi. Le misure negative includono, a esempio, quelle che sostengono direttamente i combustibili fossili. Le misure miste invece possono essere positive per una dimensione ambientale (come il clima) ma dannose per altre (come la biodiversità). In altre parole nei Paesi Ocse il sostegno continua a premiare le attività potenzialmente dannose in volume quasi uguale a quello destinato alle misure green.

La Cina resta il punto critico di maggior rilievo per la transizione climatica

La Cina è il maggiore emettitore di gas serra al mondo, il principale consumatore di carbone mondiale e con emissioni pro capite ormai ben superiori a quelle europee. Le curve di emissione della CO2 della Cina mostrano un rimbalzo netto dopo la pandemia. Negli ultimi sei mesi ha pianificato un aumento della produzione di energia elettrica da carbone, suscitando una diffusa preoccupazione per la violazione della traiettoria dell’accordo di Parigi. All’assemblea generale delle Nazioni Unite del 22 settembre 2020, il presidente cinese Xi Jinping è rimasto su una posizione attendista e inadeguata, rifiutandosi di assumere un impegno di riduzione delle emissioni di gas serra, definito e significativo, entro il 2030, ma limitandosi genericamente a garantire di raggiungere il picco di emissioni e iniziare a diminuirle solo prima della fine di questo decennio, per andare a zero solo entro il 2060, senza per ora dire come.

La grande crisi climatica continua a peggiorare

La caduta delle emissioni nel 2020, pur rilevante, non è stata sufficiente a fermare l’aumento della concentrazione di gas serra e quindi non è bastata a fermare la crescita del global warming. Non può quindi sorprendere che nel 2020 siano proseguite, senza tregua, le manifestazioni estreme del cambiamento climatico in atto. Nell’estate 2021 non si può fare a meno di documentare la grave ondata di calore che ha colpito Canada, Stati Uniti e Siberia e le alluvioni record in Germania e Cina, causa di gravi perdite e lutti. L’attenzione mediatica è altissima per il numero di vittime e le dimensioni raggiunte da questi eventi. Né si può dimenticare il fenomeno degli incendi in Australia che ha tormentato l’estate australe. L’ondata di calore sugli Stati Uniti nord-occidentali e sul Canada è di tale portata che lascia letteralmente interdetti i meteorologi. Ci stiamo avvicinando alla temperatura massima assoluta mai registrata sulla Terra, 56°C, in zone però non abitate dall’uomo. A sei anni dall’Accordo di Parigi non ci sono segni di riduzione delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra né, per conseguenza, della temperatura media superficiale terrestre.

Verso la Cop26 di Glasgow

La Cop26, originariamente prevista nel 2020, è stata rimandata di un anno a causa della pandemia e si tiene in Gran Bretagna a Glasgow a novembre 2021. La Cop26 ha il compito di raccogliere gli Ndc (gli impegni nazionali dichiarati) aggiornati. Il Regno Unito ha fissato un nuovo Ndc per il 2030 di almeno il 68% di riduzione rispetto ai livelli del 1990 e recentemente un ulteriore obiettivo del 78% al 2035; l’Ue ha presentato un Ndc con una riduzione del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Il 21 aprile di quest’anno, al Leaders Summit on Climate, gli Stati Uniti hanno annunciato una riduzione del 50-52% rispetto ai livelli del 2005 per il 2030 e zero netto per il 2050. C’è molta attesa di vedere quali ulteriori obiettivi verranno proposti. Resta il fatto che gli aumenti delle ambizioni regionali e nazionali sono unicamente il frutto volontario dell’impegno dei governi, e che le Cop e il negoziato non sembrano sufficienti ad accelerare la crescita degli impegni di riduzione se non attraverso le perorazioni. Alla Cop26 ci sarà anche il ritorno degli Stati Uniti al tavolo dei negoziati, con il presidente Biden che intende fare dell’azione per affrontare il cambiamento climatico una priorità, dopo aver ricondotto gli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi, abbandonato da Donald Trump nel 2019.

Continuano i cambiamenti del sistema energetico

La pandemia e la conseguente crisi economica hanno avuto un impatto su quasi ogni aspetto del modo in cui l’energia viene prodotta, fornita e consumata in tutto il mondo. La domanda di energia primaria è diminuita di quasi il 4% nel 2020, il petrolio è calato dell’8,6%, il carbone del 4%. Mentre la pandemia ha ridotto la domanda di elettricità, l’accelerazione della produzione di energia da fonti rinnovabili ha contribuito sostanzialmente alla diminuzione delle emissioni del settore. La quota di energie rinnovabili nella produzione globale di elettricità è passata dal 27% nel 2019 al 29% nel 2020, il più consistente aumento percentuale mai registrato. Le tecnologie per l’energia rinnovabile ora dominano il mercato globale per la nuova capacità di generazione di elettricità, poiché sono diventate le fonti più economiche in molti mercati. La capacità globale aggiunta di generazione da fonti rinnovabili nel 2020 ha toccato il livello record di 260 GW, più di quattro volte quella da altre fonti.