L’Iran “sequestra” quattro documentariste

Il 9 e 10 maggio i servizi di intelligence iraniani hanno arrestato quattro donne, alcune documentariste e altre fotografe, a Teheran.
Lo ha reso noto il Comitato delle donne del Consiglio nazionale della Resistenza Iraniana (Cnri), l’ampia coalizione di organizzazioni, gruppi e personalità democratiche iraniane fondata nel 1981 nella capitale. Anche Hrana, l’agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani, ha riportato la notizia.
Le donne arrestate si chiamano Firoozeh Khosravani, Mina Keshavarz, Shilan Saadi e Reyhaneh Taravati. Anche un’attivista sindacale, Anisha Assadollahi, è stata prelevata dalle forze del ministero dell’Intelligence locale insieme a suo marito. Il motivo e le accuse contro di loro non sono chiare.
Per prime sono state prelevate Keshavarz e Khosravani, due registe di documentari. Khosravani, che si è laureata all’Accademia delle Belle Arti di Brera a Milano e ha un master in giornalismo, nel 2020 ha vinto il premio per il miglior lungometraggio all’Amsterdam International Documentary Film Festival con il suo Radiography of a Family.
La donna è riuscita a chiamare brevemente la sua famiglia per far sapere che era stata trasferita nel reparto 209 della prigione di Evin a Teheran: lo riporta l’account Twitter femminista Bidarzani, che sottolinea come abbiano prima perquisito le loro case e poi sequestrato effetti personali come cellulare, laptop e varie apparecchiature.
Mina Keshavarz si trova nello stesso reparto e ha ricevuto lo stesso trattamento; la regista è famosa per i suoi lavori “Uninvited in Tehran”, “Between the Waves” e “The Art of Living in Danger”: in quest’ultimo parlava di vittime di violenza domestica. Nel 2019 una sua opera è stata accettata al Festival Internazionale del Cinema di Berlino. L’organizzazione si è detta “profondamente preoccupata” per gli arresti delle due registe.
Secondo il sito dell’emittente Radio Free Europe - Radio Liberty, lo stesso giorno è stata arrestata la fotografa Reyhaneh Taravati, fermata da “sei o sette persone che si sono presentate a casa sua in veste di agenti del ministero dell’Intelligence e l’hanno portata con sé”: lo ha detto una fonte vicina alla sua famiglia.
Taravati era già stata arrestata nel 2014 dopo essere apparsa in un video girato nella sua abitazione e in altre vie della capitale in cui ballava, insieme ad altri cinque, Happy, la canzone di successo di Pharrell Williams.
Secondo il capo della polizia Hossein Sajedinia, infatti, si trattava di una performance “volgare” e dannosa alla “decenza pubblica”: nel video le tre ragazze che compaiono non portano il velo.
Il giorno dopo sulla televisione iraniana era stato trasmesso un video in cui i ragazzi e le ragazze “confessavano” di aver girato il filmato per un provino, ma non è chiaro se fossero dichiarazioni estorte: una scritta alla fine della canzone, infatti, diceva “Ci siamo divertiti ogni secondo del tempo che abbiamo passato a girare il video. Speriamo di avervi fatto sorridere”.
Nello stesso anno aveva firmato la dichiarazione di protesta contro la violenza sulle donne nel settore teatrale e cinematografico. La denuncia era stata riproposta all’inizio di aprile 2022, con centinaia di donne che condannavano la violenza e le molestie sessuali sistemiche diffuse nel settore, divenute “endemiche” nel cinema iraniano.
Il 10 maggio la stessa sorte di Keshavarz e Khosravani è toccata alla regista curda Saadi, anche lei notata dal Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 2019 per il film “I promised”, su sette donne curde in un campo profughi turco. «Hanno perquisito a fondo la casa, confiscato i suoi effetti personali, tra cui laptop, telefono cellulare, passaporto e carta d’identità e l’hanno portata in un luogo sconosciuto», ha detto la famiglia a Iran Wire, il sito web di notizie gestito da giornalisti professionisti iraniani che vivono sia all’interno che fuori dal Paese.
L’Associazione degli scrittori iraniani ha poi denunciato l’arresto di Keyvan Mohtadi, scrittore e membro dell’organizzazione, e di sua moglie, Anisha Asadollahi, traduttrice. “Pochi minuti prima dell’irruzione, Mohtadi ha pubblicato una storia su Instagram che mostrava la presenza degli agenti di sicurezza nei pressi della loro abitazione, avvertendo che li avrebbero arrestati di lì a poco”. Mohtadi e Assadollah, che sono sostenitori dei diritti dei lavoratori, erano già stati arrestati e condannati alla detenzione in passato. Le accuse relative all’arresto del 10 maggio sono ancora sconosciute.
Secondo Iran Wire, tutti gli arresti sono stati emessi a seguito di mandati emessi dal tribunale di Shahid Moghaddas, vicino alla prigione di Evin. Non è chiaro il perché di queste misure cautelari a danno di specifiche personalità del cinema e dell’attivismo: una persona vicina a uno degli arrestati ha ipotizzato che le detenzioni abbiano lo scopo di intimidire loro e la più ampia comunità giornalistica in vista di potenziali disordini per l’aumento dei prezzi dei generi alimentari in Iran: il governo intende abrogare tutti i sussidi domestici per cibo e carburante, secondo il quotidiano iraniano Hamshahri.
L’invasione russa dell’Ucraina avrebbe reso più urgente queste misure perché entrambi i Paesi sarebbero importanti fornitori di olio di girasole e grano all’Iran.
Il 5 maggio sono scoppiate le prime proteste, Internet è stato bloccato e alcuni manifestanti sono stati arrestati. Ma, a quanto pare, era solo l’inizio.