Diritti

Da Pussy Riot a rider per fuggire dalla Russia

L’attivista femminista Maria Alyokhina è riuscita a lasciare il Paese travestendosi da corriere a domicilio. Avrebbe dovuto scontare 21 giorni in una colonia penale
Maria Alyokhina della formazione punk rock russa Pussy Riot fuma sul palco durante il loro concerto all'Akvarium Klub di Budapest, Ungheria, 12 marzo 2018
Maria Alyokhina della formazione punk rock russa Pussy Riot fuma sul palco durante il loro concerto all'Akvarium Klub di Budapest, Ungheria, 12 marzo 2018 Credit: EPA/ZOLTAN BALOGH HUNGARY OUT
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
12 maggio 2022 Aggiornato alle 07:00

Un giubbotto verde, uno zaino da corriere addetto alle consegne a domicilio, e Maria Alyokhina, una delle componenti delle Pussy Riot, è riuscita a fuggire dalla Russia.

Lo ha riferito il suo avvocato Daniil Berman all’agenzia Interfax, che aveva detto di non sapere come Alyokhina fosse riuscita ad andarsene, considerando che era costantemente sorvegliata dalle forze dell’ordine. Dall’inizio dell’anno era già stata arrestata ripetutamente dalla polizia, scontando 90 giorni di arresti domiciliari.

Alyokhina ha rilasciato un’intervista al quotidiano New York Times, raccontando della sua fuga e di come si stesse nascondendo nell’appartamento di un’amica a Mosca quando ha avuto l’idea di travestirsi da rider e fuggire dal Paese.

È stata la sua compagna, Lioussa Chtein, a postare una foto su Twitter del travestimento, “un modo semplice per superare i poliziotti”. Anche lei, con lo stesso stratagemma, ha abbandonato il Paese ad aprile. E ha sottolineato che “Masha non ha lasciato la Russia, è solo andata in tour!”.

La serie di concerti delle Pussy Riot, il collettivo femminista russo punk rock fondato a Mosca nel 2011, che si definisce parte del movimento anticapitalista di derivazione anarchica e lotta per libertà e democrazia, inizierà davvero: prima tappa a Berlino, il 12 maggio, con l’obiettivo di raccogliere fondi per l’Ucraina. “Le Pussy Riot sono attualmente in tournée in 3 Paesi e hanno 4 concerti imminenti”, spiegano sul sito in cui è possibile acquistare i biglietti.

Seguiranno un concerto a San Francisco, in California, il 5 agosto. Poi uno a Victoria, in Canada, il 15 settembre e l’ultimo il giorno dopo, di nuovo negli Usa, a Las Vegas, in Nevada.

Lo scorso settembre la cantante era stata condannata a un anno di restrizioni alla sua libertà che comprendevano il controllo giudiziario, il coprifuoco notturno, il divieto di lasciare Mosca. Perché? Per aver chiesto una manifestazione contro l’arresto del principale oppositore russo, Alexei Navalny.

Alla fine di aprile le misure erano state inasprite, sostituite da una pena detentiva: un tribunale della capitale russa aveva ordinato la carcerazione di Alyokhina per avere violato i termini della libertà vigilata a cui era stata condannata mesi prima. Ma lei non si era presentata all’udienza e si era resa irreperibile. E così, il ministero dell’Interno russo l’aveva inserita nella lista dei ricercati, definendola una latitante.

La donna, di 33 anni, ha raccontato al Nyt di aver lasciato il cellulare a casa dell’amica da cui si stava nascondendo, per evitare di essere rintracciata. Ha poi attraversato il confine con la Bielorussia e, una settimana dopo, è riuscita a raggiungere la Lituania dopo vari tentativi.

Il 21 febbraio del 2012 le Pussy Riot avevano organizzato una protesta che le aveva fatte conoscere al mondo intero: avevano intonato una “preghiera punk” contro Vladimir Putin nella cattedrale ortodossa del Cristo Salvatore a Mosca, diffondendo il video della performance in rete.

La canzone accusava il patriarca Kirill, il capo della Chiesa ortodossa russa, di dare un esplicito appoggio a Putin nella campagna presidenziale del 2012.

Le attiviste vennero arrestate nell’agosto 2012: tre di loro, tra cui Maria Alyokhina, vennero giudicate colpevoli di teppismo e odio religioso da un tribunale di primo grado e condannate a due anni di carcere.

Quando venne liberata, nel 2013, Alyokhina fondò, insieme a un’altra attivista, un’agenzia di stampa indipendente che si occupa di crimini in Russia: si chiama Mediazona ed è non è possibile consultarla online nel Paese che il 24 febbraio ha invaso l’Ucraina.

Questo non ha fermato né lei né le azioni del collettivo. Dopo varie condanne agli arresti domiciliari, ben sei dalla scorsa estate, le autorità le avevano comunicato che avrebbe dovuto scontare 21 giorni in una colonia penale. Ma le cose sono andate diversamente.

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