Diritti

Se comandassero le donne

Come sarebbe il mondo se le donne potessero esercitare sugli uomini lo stesso potere che ora subiscono? Facciamo qualche ipotesi
Credit: Nick Castelli/Unsplash
Tempo di lettura 8 min lettura
11 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

“Se gli uomini potessero rimanere incinti, l’aborto sarebbe un sacramento.” La frase, provocatoria, pungente, è di Gloria Steinem, una delle madri del femminismo occidentale di seconda ondata. È una frase imprecisa, apodittica, surreale: proprio per questo vale la pena parlarne, perché fotografa la natura del potere che gli uomini esercitano sul corpo delle donne.

Gli uomini – a grande maggioranza, dato che esistono anche le persone trans e non binarie – non possono restare incinti: ed è proprio da questa loro impossibilità di generare che deriva lo sbilanciamento di cui parliamo. Se le donne potessero esercitare sul corpo degli uomini lo stesso tipo di controllo che ora sono costrette a subire, quali sarebbero le conseguenze sulla società?

L’idea di un potere femminile violento e arbitrario è talmente fantasiosa da essere popolare solo nei forum dei RedPill, il movimento maschilista radicale che predica la sottomissione violenta delle donne al volere maschile. Prendiamola quindi come ipotesi di scuola e non come auspicio, e partiamo dalle basi. Quando inizierebbe, questo dominio femminile? Sarebbe un rovesciamento, o un potere millenario tramandato di madre in figlia?

Perché la nostra ipotesi possa funzionare, dobbiamo immaginarci un mondo a parti perfettamente rovesciate, piuttosto che la civiltà matriarcale pacifica e collaborativa che vive nell’immaginazione di chi ogni tanto sospira che “Il mondo sarebbe un posto migliore, se comandassero le donne”.

Se le donne (bianche, aggiungerei) avessero sempre comandato, il mondo sarebbe completamente diverso da quello che conosciamo, ma forse anche del tutto uguale. Proviamo quindi a immaginarci che aspetto avrebbe se le donne avessero ricalcato passo dopo passo il percorso tracciato dagli uomini nei secoli.

In questo mondo in cui le donne hanno sempre avuto ogni potere, tutte le grandi religioni monoteiste sono riconducibili a divinità e figure di venerazione femminili. La Dea, che ha un nome diverso a seconda delle culture e che ha scatenato diverse guerre di religione, è venerata da una classe sacerdotale composta solo da donne, potentissima e onnipresente, che decide che cosa sia sacro e cosa non lo sia. Sacerdotesse, papesse, monache, tutte concordi nel dire che la vita inizia quando lo decide chi la porta in grembo, e che questa autonomia è sacra e inviolabile, decisa dalla Dea stessa.

Generazioni su generazioni di donne che hanno stabilito che non solo la donna è a capo della famiglia, ma è anche a capo dell’uomo, che nella famiglia è un semplice strumento. Assiste, non prende decisioni, deve essere sempre pronto a servire e accudire, si rimette interamente alle donne che ha intorno: lo ha ribadito più volte, fra le altre, l’apostola della figlia della Dea, scesa fra le donne per guidarle.

La religione aiuta a cementare il predominio delle donne: solo le figlie femmine possono ereditare il patrimonio di famiglia, partecipare alla vita pubblica, essere nominate o elette a incarichi di prestigio. “Auguri e figlie femmine” è la frase di rito dei matrimoni. Un figlio maschio è indesiderabile, un peso, qualcuno che bisognerà sistemare e che i genitori controllano in maniera ossessiva, segregandolo e limitando il suo accesso all’istruzione, perché tanto a che gli serve? Poi si sposa e bada ai figli.

Qualsiasi potere gli uomini possano esercitare nella società deve essere indiretto, di influenza, di rado agito in prima persona e in quel caso per lo più perché ereditato da una donna. Un uomo deve costantemente provare di essere all’altezza dei compiti che pretende di svolgere nella società. “Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo” si dice, per consolare i maschi della loro eterna sudditanza. Loro sorridono, esibiscono orgoglio quando le consorti ottengono risultati prestigiosi. Applaudono miti nell’ombra e si incoraggiano a vicenda a essere bravi padri e mariti, a svolgere il loro compito, a stare al loro posto. Il movimento per l’emancipazione maschile impiega secoli anche solo per ottenere il diritto di voto, e i suoi attivisti vengono sfottuti, delegittimati, minacciati, a volte uccisi.

La verginità femminile non ha alcun valore, mentre quella maschile viene rivestita di una forma di sacralità: il maschio deve essere puro, consacrarsi a una sola donna o concedersi a poche, a prescindere da quello che desidera, mentre la donna dà prova di femminilità andando a letto con più uomini possibile fino dall’adolescenza. L’anatomia femminile è studiata nei dettagli e il desiderio sessuale delle donne è al centro della società. Gli uomini sono semplici strumenti della sua soddisfazione, tanto che per moltissimo tempo si ritiene che la gravidanza non sia frutto dell’incontro fra sperma e ovulo, ma della capacità del corpo femminile di generare in proporzione al godimento che trae dal sesso.

Gli uomini sono bene addestrati a venire incontro a questa necessità, tanto che le loro necessità primarie passano in secondo piano rispetto al dovere di essere bravi amanti, terrorizzati dal rischio di essere abbandonati per un uomo più giovane e piacente. Se una donna non rimane incinta, è colpa dell’uomo che non è capace a letto: così si dice. L’intervento alla prostata rischia di mettere a rischio la funzionalità sessuale? Le donne lavorano per renderlo inaccessibile tranne che in rarissimi casi. Se poi gli uomini muoiono di cancro per essersi operati tardi, be’, succede. La capacità di mantenere un’erezione ed essere fertili viene prima della loro salute: i corpi degli uomini sono bene comune.

Parlano poco, questi uomini che possiedono pochissimo e hanno difficoltà ad accedere al mondo del lavoro perché il loro compito domestico non può essere delegato. I figli generati dalle donne sono di loro esclusiva competenza appena svezzati, e tutto il mondo del lavoro gira intorno alla certezza che una donna possa partorire e prendersi tutto il tempo che vuole senza che a nessuno venga in mente di sostituirla. Essere madre non ha alcun valore intrinseco, la madre non è né migliore né peggiore della non madre, e la contraccezione è liberamente disponibile per ogni donna, mentre la fertilità maschile è controllata nei minimi dettagli, anche con interventi invasivi o al contrario, prelievi regolari di seme.

Nessuno intima alle donne di “fare più figli”, perché il potere economico permette loro di averne quanti ne vogliono, e senza che i segni della gravidanza e dell’invecchiamento sui loro corpi sia oggetto di critiche o di osservazioni. Al contrario, una donna anziana è affascinante, un uomo anziano è solo un vecchio senza valore. Avere figli non costituisce in alcun modo una penalità, perché i piccoli vengono allevati dai padri, tanto che l’unico patriarcato di cui si parla è sempre un patriarcato domestico, in cui gli uomini esercitano un potere piccolo e limitato, sempre condizionato dalla benevolenza delle consorti.

Sono incoraggiati a stare a casa, a farsi belli, a essere sempre sorridenti, a non disturbare le donne con i loro problemi, a non chiedere troppo, a non rompere le ovaie. Le leggi sul divorzio li tutelano un pochino, ma rimangono sempre la parte socialmente debole, e se lasciano la moglie devono portarsi dietro i figli. Le donne, completamente disinteressate all’allevamento della prole, hanno a volte un sussulto d’orgoglio e si riuniscono in gruppi di madri separate, in cui dicono peste e corna degli ex e si lamentano degli assegni di mantenimento. Molte non li pagano: la legge è lenta ed è difficile per gli uomini farsi valere. Molti non lo fanno per orgoglio.

La violenza fisica, psicologica ed economica sugli uomini miete vittime quasi ogni giorno, ma se ne parla al massimo una volta l’anno, nel mese dedicato: grandi campagne con donne che si schierano contro la violenza femminile sugli uomini, ma poi niente viene fatto nel concreto a livello di prevenzione. Le donne uccidono i loro compagni e familiari se si sottraggono ai loro doveri, se vogliono disfarsene per trovare un compagno nuovo, se sono anche solo contraddette. Ci scherzano molto, scherzano sullo stupro dei maschi, sulla sopraffazione, trattano i maschi come oggetti sessuali.

Un uomo per strada non può mai camminare tranquillo: soprattutto se è molto giovane, le donne lo apostrofano, urlano apprezzamenti sessuali, a volte – se sono in branco – le cose possono mettersi male, per il ragazzo coinvolto. Se lui tenta di denunciare si trova davanti una forza di polizia a maggioranza femminile, che mette in dubbio tutto quello che dice. Lo stesso avviene per la violenza domestica, o per il mobbing aziendale. Se però una donna vuole rovinare un uomo, le basta pochissimo. Le basta mettere in giro la voce che è un po’ troppo disinvolto, che se la fa con tutte le cape dell’azienda, che è andato a letto con questa o quella per ottenere quello che ha.

I maschi vengono costantemente sottovalutati, le femmine – anche se mediocri – godono di un vantaggio competitivo. E anche gli altri uomini, i pochi a essere riusciti a fare carriera, si vantano in pubblico di non assumere i loro pari, perché se le compagne si assentano per poche settimane, loro devono occuparsi della famiglia per anni. Non sono un buon investimento. Dalla platea, il Ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia applaude e annuisce come se non fosse una sua responsabilità provvedere a raddrizzare questo torto.

Impossibile? Sì, e nessuno lo vuole, come si sarà capito. Il mondo a parti invertite è ugualmente orribile per il genere oppresso. Allora perché siamo così pronti a difendere la sua versione originale? Perché siamo così affezionati a un’oppressione che non ha niente di naturale, e tutto, ma tutto, di strutturale?

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