Diritti

Le donne al lavoro? Ultime a entrare, prime a uscire

Un nuovo report di Save The Children conferma dati già noti: i più forti a livello occupazionale sono maschi, italiani, non più giovani. Per le lavoratrici, è sempre una “mom-session”
Credit: Chtistina Wochintech
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
10 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

Last in, first out. È un’espressione che si usa nel settore della logistica, per indicare che l’ultimo prodotto a entrare è anche il primo a uscire. Ma è anche, secondo il CNEL, la condizione occupazionale delle donne italiane, insieme a esempio ə giovanə e ə migrantə.

E chi sono i più forti, sempre secondo il CNEL? Certamente gli uomini, meglio se italiani e non più giovanissimi. È quanto emerge anche dal Report “Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2022”, pubblicato proprio pochissimi giorni fa da Save The Children.

Le disparità di genere, anche sotto il profilo salariale, precedono nel nostro Paese il momento della maternità e della paternità: a 11 anni dal conseguimento del titolo di scuola secondaria superiore, i diplomati maschi hanno un reddito medio di 2.076 euro, il 34% in più rispetto a quello delle diplomate.

Ma non finisce qui: i dati più preoccupanti sono quelli sul percorso salariale. Per gli uomini, intorno ai 30 anni, la traiettoria salariale è ancora in crescita. Per le donne, alla stessa età si appiattisce, come se non dovesse crescere più (e infatti…).

Stando al Gender Policies Report dell’INAPP, la ripresa occupazionale del 2021, stimata in base ai dati Inps sui nuovi contratti attivati nel primo semestre 2021, rispecchia una profonda struttura di differenze di genere. a esempio, tra coloro che vedono il proprio contratto stabilizzarsi e passare a tempo indeterminato, solo il 38% sono donne.

Per non parlare dei contratti part-time, che interessano il 35,7% del totale nel primo semestre 2021. Anche in questo caso, rileviamo una marcata disparità tra uomini e donne. Infatti, i nuovi contratti prevedono il part-time per il 49,6% delle donne e per il 26,6% degli uomini. E nel caso delle donne, nel 61,2% dei casi sono involontari (in particolar modo, per le donne più giovani: in questo caso, il part-time involontario sale al 72,9%).

Un altro elemento contenuto nel Report di Save The Children è quello relativo ai dati dellIspettorato Nazionale del Lavoro per il 2020. Nella relazione annuale sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, i provvedimenti di convalida interessano lavoratrici madri nel 72,9% dei casi nel 2019 e nel 77,4% dei casi nel 2020.

Come sempre, la situazione per le lavoratrici è più critica se sono madri di bambinə di età compresa tra 0 e 3 anni. In questo caso, le dimissioni volontarie nel 2020 riguardano per il 77,4% le madri e solo per il 22,6% i padri.

Le motivazioni? Per le donne, nel 98% dei casi, si fa riferimento alle difficoltà di conciliazione rispetto ai servizi di cura. Per gli uomini, tali decisioni sono legate prevalentemente a un passaggio ad altra azienda.

Quanto emerge dal Report è che, nell’ambito di un contesto, quale quello italiano, già profondamente discriminatorio per le donne, “La crisi da Covid-19 è stata un acceleratore di disuguaglianze sociali, economiche, educative”, secondo Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save The Children. “In Italia, le donne e le mamme in particolare hanno pagato un prezzo altissimo. La recessione conseguente alla pandemia è stata giustamente definita una she-session. I dati ci dimostrano che è ancor di più una mom-cession”.

Cerchiamo di guardare al futuro: come ne usciamo? Secondo Inverno, “Servono misure efficaci, organiche e ben mirate che consentano di bilanciare le esigenze dell’essere madri e quelle dell’accesso e della permanenza nel mondo del lavoro.”

Siamo sulla strada giusta? “Le riforme in atto, come il Family Act o la Legge sulla parità salariale, sono passi avanti, ma occorre completare il quadro con investimenti consistenti: dal sostegno al reddito, alle politiche fiscali, all’offerta di un’infrastruttura di servizi, alla qualità del sistema scolastico. Tutto influisce sul benessere del nucleo famigliare e anche sul tasso di fertilità che sta segnando picchi ormai drammatici nel nostro Paese”.

Sappiamo bene cosa fare, basta solo voler iniziare.

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