Diritti

La fatica psicologica dell’infertilità

I percorsi di Pma sono tortuosi e accidentati per le coppie che cercano un figlio. Perché la maternità è considerata una prova di efficienza, non d’amore
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7 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

Nel 1981 Elisabeth Badinter, filosofa e storica francese, pubblica un libro dal titolo L’amore in più che rompe un tabù: la maternità non è un fatto naturale, essere madri non è innato e l’amore materno è uno dei sentimenti umani, che come tutti i sentimenti è incerto, fragile e imperfetto. Un sentimento che può esistere o non esistere, e che comunque non va mai dato per scontato, un amore in più appunto.

Da allora moltissime cose sono cambiate nella maternità, nel modo di viverla, nelle difficoltà sempre maggiori a realizzarla. Eppure anche se siamo in un nuovo millennio, rimane profondo lo stigma dell’infertilità. Chi affronta il percorso della procreazione medicalmente assistita (PMA) e della fecondazione eterologa, affronta una strada accidentata fatta di inciampi e delusioni ma soprattutto perennemente accompagnato dalla sensazione di avere qualcosa di sbagliato. Raramente questa esperienza viene condivisa da chi la vive, più frequentemente viene nascosta, come se fosse accompagnata dalla colpa di non avere un corpo fertile.

È indubbio che questi pregiudizi sono diffusi anche tra stessi operatori sanitari, medici soprattutto, la stessa terminologia medica fa riferimento a modelli arcaici: una donna di 35 anni che partorisce per la prima volta è una “primipara attempata”, in un mondo dove la maggior parte delle donne per ragioni sociali, culturali, lavorative prende, se ci riesce, la decisione di fare un figlio dopo i trent’anni.

La fatica psicologica che accompagna le coppie, in particolare la donna, che affrontano questo percorso è assolutamente sottovalutata, mentre è in realtà un elemento decisivo nel favorire oppure ostacolare la realizzazione del progetto di avere un figlio. Ed è il desiderio (non la frustrazione) che apre la porte alla possibilità di una creazione vitale quale quella di un figlio. Perché di questo comunque si tratta: qualunque sia la strada percorsa per raggiungerla.

Il desiderio e l’esplosione emotiva che avvolgono questa esperienza della vita non è diversa se il figlio è stato concepito in modo naturale o tramite la PMA.

Oggi questo problema riguarda moltissime coppie, non è più un problema di nicchia, eppure rimane ancora un argomento di cui i protagonisti sono assolutamente restii a parlare. Rimane ancora attiva l’idea che la procreazione sia una sorta di prova di efficienza per la donna (e in realtà anche per l’uomo) dove il desiderio viene rapidamente sostituito dalla frustrazione, se questa prova non è superata naturalmente.

Si ritorna dunque al punto di origine di molti disagi contemporanei e cioè a quel senso di inadeguatezza riferito soprattutto al corpo che riguarda persone di tutte le età, assediate dalla richiesta di un corpo senza imperfezioni, perennemente giovane e performante.

Uscire da questa ossessione significa essere liberi di scegliere davvero se avere un figlio oppure anche no, ma soprattutto significa accettare pienamente quel territorio, cosi intimo ed estraneo allo stesso tempo, che è il nostro corpo. Con il quale abitiamo e ci apriamo al mondo.

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