Ambiente

Pesticidi, metalli e plastica minacciano i mammiferi tropicali

Uno studio su Conservation Biology rivela l’impatto delle sostanze chimiche sugli animali dei tropici, come lo scimpanzè. A rischio la riproduzione dei primati
Una scimmia nel parco di Kibale, che presenta la più alta densità di popolazione di primati dell'Africa. Gli alberi di questo polmone verde sono ricchi di tutti i tipi di scimmie.
Una scimmia nel parco di Kibale, che presenta la più alta densità di popolazione di primati dell'Africa. Gli alberi di questo polmone verde sono ricchi di tutti i tipi di scimmie. Credit: KIBALE FOREST NATIONAL PARK
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8 maggio 2022 Aggiornato alle 20:00

Potrebbe essere il titolo di un intrigante love story, chimica tropicale, ma invece è semplicemente una triste realtà. Di recente il report dell’Ipcc, lo studio degli scienziati del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, ci ha avvertito come ad accusare gli effetti devastanti del surriscaldamento sia soprattutto la fascia tropicale del Pianeta.

Non solo clima però: proprio ai tropici - ci dicono nuove ricerche - ora alcuni dei mammiferi più straordinari e unici della Terra stanno accusando l’ingerenza di prodotti chimici, dai pesticidi ai farmaci, dalle microplastiche ad altri materiali sintetici. Sostanze che non solo come altrove impattano sulle vite quotidiane di persone, flora e fauna, ma stanno anche influenzando, per esempio nella fase riproduttiva, tantissimi mammiferi terrestri tra cui alcuni primati.

Sulla rivista Conservation Biology gli esperti parlano chiaramente di una minaccia sottovalutata. Ci sono infatti pochi studi che descrivono cosa sta accadendo alla fauna tropicale in questo periodo storico. Secondo Colin Chapman, biologo e professore alla George Washington University, «come società la stiamo avvelenando e nonostante questa consapevolezza, non agiamo».

I rischi della vita in un mondo sempre più chimico sono stati sottolineati a più riprese dalla scienza, raccontando come le sostanze create dall’uomo impattino sull’ambiente. Ai tropici però, anche a causa di meno controlli e sistemi più permissivi, i cocktail di sostanze chimiche che vanno dai pesticidi sino a quelle rilasciate nei fiumi, metalli pesanti compresi, espongono la fauna a problemi ancora oggi in parte sconosciuti.

Per esempio lo studio ha analizzato la presenza di prodotti chimici nell’aria e l’acqua delle stazioni ecologiche di Las Cruces e La Selva in Costa Rica e nel Parco nazionale di Kibale in Uganda. Dalla ricerca emerge come tracce di queste sostanze siano state rilevate anche nelle feci di primati come colobo rosso, oppure gli scimpanzé, ma nessuno sa con esattezza l’effetto che avranno sulle vite di questi animali.

Per Chapman è improbabile che le specie si estinguano a causa dell’inquinamento chimico ma c’è il rischio che la prolungata esposizione possa seriamente ostacolare gli sforzi di conservazione, per esempio impattando sulla fertilità e la riproduzione. Anche i famosi gorilla di montagna, come quelli della foresta impenetrabile di Bwindi in Uganda, sono esposti ai pesticidi in alcuni casi addirittura attraverso la coltivazione del tè e il consumo di foglie di piante contaminate.

La portata del danno è sconosciuta, ma in futuro potrebbe essere tardi per rimediare.

Ciò che sappiamo è che i mammiferi tropicali arrivano a consumare vegetali, carne e pesce che a loro volta sono già contaminati: quando si nutrono di sostanze inquinate, in un contesto di forte stress dovuto per esempio alla perdita di habitat o effetti della crisi climatica, in alcuni casi questo mix può diventare letale per le specie, avvertono gli esperti.

Più gli habitat dei tropici vengono frammentati dall’azione dell’uomo, più oltretutto gli animali si spingono verso confini dove sono presenti ulteriori sostanze chimiche dovute dalle attività antropiche, oppure si espongono a quelle legate al fumo degli incendi.

Quella che affrontano i mammiferi tropicali secondo lo studio è dunque una crisi chimica in continua crescita. Per questo gli esperti raccomandano un monitoraggio a lungo termine per comprendere a fondo i rischi di questo problema. Un monitoraggio continuo della salute della popolazione della fauna selvatica, anche basandosi sul fatto che molte specie sono sentinelle degli equilibri degli ecosistemi, aiuterebbe a comprendere e quantificare la portata e l’impatto dell’inquinamento chimico e inoltre potrebbe fornire un sistema di allerta precoce per rilevare malattie, virus e rischi di zoonosi.

«Per agire in modo informato, abbiamo bisogno di infrastrutture, capacità di ricerca e maggiori informazioni sugli effetti. Dobbiamo rinnovare il modo in cui vengono raccolte tali informazioni e ampliarle», chiosano i ricercatori nella speranza di far luce sui danni concreti della “chimica tropicale”.

Anche per questo, Chapman e colleghi continueranno gli studi su plastica e pesticidi nelle feci dei primati in oltre venti luoghi tra Centro e Sud America, Africa e Asia.

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