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24 leader mondiali sono già stati a Kyiv

L’ultima è la speaker della Camera Usa Nancy Pelosi. Dal 15 marzo, sono 24 i viaggi diplomatici dei big mondiali in Ucraina. A cosa sono serviti?
La Speaker della Camera Usa Nancy Pelosi a Kyiv, in Ucraina, il 1° maggio.
La Speaker della Camera Usa Nancy Pelosi a Kyiv, in Ucraina, il 1° maggio. Credit: Ansa
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
2 maggio 2022 Aggiornato alle 19:00

Sono passati 68 giorni dall’inizio della guerra in Ucraina. Dalla mattina del 24 febbraio il suolo ucraino e il suo presidente Volodymyr Zelenskiy hanno visto fuggire milioni di persone dai luoghi colpiti dall’avanzata russa, ma alcune figure istituzionali sono andati controcorrente.

«Invito tutti gli amici dell’Ucraina a visitare Kyiv», aveva dichiarato a marzo sul suo canale Telegram il leader del Paese giallo azzurro, e da metà marzo in molti hanno accolto lo stimolo.

Il viaggio più recente è quello di Nancy Pelosi, la Presidente della Camera degli Stati Uniti d’America, che ha incontrato Zelenskiy domenica 1° maggio: la sua visita è una grande dimostrazione di sostegno alla lotta ucraina contro l’invasione di Mosca. A Kyiv Pelosi ha detto che «l’America è fermamente con l’Ucraina. Saremo qui fino a quando la vittoria non sarà conquistata», condannando la “diabolica invasione” del presidente russo Putin. Tanto che il Washington Post stamattina titolava «Pelosi fa promesse a Kiev».

Il New York Times ha spiegato che “con ogni incontro (il segretario di Stato Anthony Blinken e quello alla Difesa Lloyd Austin si sono recati a Kiev durante un viaggio non preannunciato il 24 aprile, ndr) la promessa dell’impegno americano per una vittoria ucraina sembra crescere, anche se cosa gli Stati Uniti intendano per vittoria resta incerto».

La visita di Pelosi rimane comunque la più diplomaticamente rilevante fino a oggi perché la funzionaria è la seconda in linea alla presidenza dopo la vice Kamala Harris. Zelenskiy ha ringraziato su Twitter gli Stati Uniti «per aver contribuito a proteggere la sovranità e l’integrità territoriale del nostro stato. Gli Usa stanno guidando un forte sostegno all’Ucraina nella sua lotta contro l’aggressione russa. Vinceremo e lo faremo insieme».

Un’altra donna, stavolta una attivista e regista, si è di recente recata in visita in Ucraina per accogliere gli sfollati a Leopoli, nella stazione ferroviaria centrale, in un istituto medico e in un collegio della cittadina nella zona occidentale del Paese: Angelina Jolie. Nonostante sia un’inviata speciale dell’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, si è recata a titolo personale, come ha fatto anche in Yemen a marzo.

Tornando a marzo, e in particolare al 15 - una ventina di giorni dopo l’invasione da parte delle truppe di Vladymir Putin -, ci si imbatte nella prima visita in assoluto a Kyiv: sono stati i primi ministri di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia Mateusz Morawiecki, Petr Fiala e Janez Janša ad aprire le danze delle visite diplomatiche nel Paese invaso dalla Russia. «Lo scopo della visita è confermare l’inequivocabile sostegno dell’intera UE alla sovranità e all’indipendenza dell’Ucraina e presentare un ampio pacchetto di sostegno allo Stato e alla società ucraini», si leggeva nella nota pubblicata dalla Commissione europea a marzo.

Poi è stata la volta dei presidenti dei Parlamenti di Lituania, Lettonia ed Estonia, il 25 marzo. Inara Murniece, Victoria Chmilite-Nielsen e Yuri Ratas avevano espresso il proprio supporto alla causa, oltre che «gratitudine per i passi che hai fatto verso l’Ucraina».

Il 1° aprile la neopresidente del Parlamento europeo, la maltese Roberta Metsola, è stata la prima presidente di una istituzione europea a visitare la capitale ucraina dal 24 febbraio. La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen è stata la seconda, l’8 aprile, in visita insieme all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell. «La tua lotta è la nostra lotta», ha detto von der Leyen a Zelenskiy dopo aver assistito all’orrore di Bucha.

Poi c’è stato il cancelliere federale austriaco Karl Nehammer, che ha detto «L’Austria è un paese militarmente neutrale, ma non può rimanere neutrale riguardo ai crimini di guerra e alle ingiustizie della Russia», seguito dal premier britannico Boris Johnson, il 9 aprile, che il leader ucraino ha definito «un sincero amico del nostro Paese. La sua visita nel nostro Paese dimostra nel modo più chiaro possibile che non ci sono ostacoli alla libertà e alla leadership».

I Presidenti di Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia hanno visitato Kyiv il 13 aprile, seguiti dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel il 20. Il giorno dopo sono arrivati anche il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, e l’omologa danese, Mette Frederiksen. Si è arrivati, così, alla visita di Blinken, seguito dal leader rumeno Nicolae Ionel Ciucă e dal bulgaro Cyril Petkov.

Il 28 aprile, quando il Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è recato a Kyiv, la Russia ha colpito la capitale con due attacchi missilistici, provocando l’indignazione del funzionario, che si è detto scioccato «non perché io sia qui, ma perché Kiev è una città sacra sia per gli ucraini che per i russi».

Le visite si sono fermate, per ora, a quota 24. Ventiquattro, tra primi ministri e diplomatici, che hanno raggiunto il suolo ucraino per dare il proprio supporto al leader Zelenskiy, attraverso una stretta di mano e pacchetti di aiuti economici, umanitari e armi: fino a oggi si sono tradotte in questo genere di interventi le «risposte forti» sollecitate dal presidente ucraino. Ma il leader punta molto più in alto: da quando è scoppiata la guerra, chiede una no-fly zone, in modo che i voli russi vengano abbattuti. Ma questo vorrebbe dire dare il via a un conflitto ben più ampio di quello odierno.

E i leader mondiali, per ora, sembrano più intenzionati a prendere un aereo diretto a Kyiv, scattare foto istituzionali e fornire gli strumenti per difendersi dagli attacchi russi e mantenere una guerra circoscritta, piuttosto che allargare gli scontri fuori dai confini ucraini.

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