Diritti

Silenzio, parla Giorgia

Il bilancio della tre giorni milanese della leader di Fratelli d’Italia? Più credito tra intellettuali e classe dirigente, meno aperture verso il Centro. E un’idea politica alla “polacca”
Giorgia Meloni alla conferenza programmatica di Fratelli d'Italia a Milano (ANSA/Mourad Balti Touati)
Giorgia Meloni alla conferenza programmatica di Fratelli d'Italia a Milano (ANSA/Mourad Balti Touati) Credit: ANSA/Mourad Balti Touati
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2 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

Un passaggio milanese è obbligato per qualunque leader ambisca alla guida del Paese.

Non tanto e non solo perché rappresenta simbolicamente il cuore di quel Nord produttivo che si estende su tutta la Pianura padana, ma anche perché la vivacità culturale, sociale ed economica della città, la più proiettata sulla scena europea e internazionale, l’ha resa un baricentro o quantomeno un termometro del cosiddetto voto moderato.

Cosa ha ottenuto, su questo piano, la tre giorni di Giorgia Meloni nel capoluogo lombardo? Bisogna guardare agli obiettivi, prima che alle parole.

Il principale era quello di mostrare che il maggiore difetto di Fratelli d’Italia sul piano squisitamente politico, ossia l’assenza di una classe dirigente, è superabile. Il risultato è misto, ma forse non ci si poteva attendere di più.

Se da una parte si vede l’embrione di un gruppo di intellettuali d’area come Marcello Pera, Carlo Nordio, Giulio Tremonti e Luca Ricolfi, dall’altra resta l’inevitabile ancoraggio alla storia di questo partito, apparentemente breve, ma che porta con sé l’eredità del Movimento Sociale prima e di Alleanza Nazionale poi.

La parabola salviniana sembra dimostrare che le due cose sono difficili da mettere insieme: la svolta nazionale e sovranista ancora oggi crea mal di pancia e una continua tensione tra il vertice e le periferie ancorate alla storia della Lega (e che periferie! Lombardia e Veneto innanzitutto).

Poi c’è lei, Meloni, il centro di tutto, con l’ambizione di andare a fare la presidente del Consiglio con o senza gli alleati di centrodestra. Sia il discorso con il quale ha dato il via ai lavori, sia quello di chiusura avevano un difetto fondamentale: parlavano quasi esclusivamente al “suo” popolo o al limite a quello di un Matteo Salvini che sembra sempre più fuori dai giochi.

Se pure l’ineccepibile posizione pro Ucraina ha generato un’apertura di credito da parte di quelle classi dirigenti del Paese senza le quali non si governa, gli interventi - pur spogliati della retorica nazionalista - sono parsi molto rivolti alla costruzione a destra, più che al centro, soprattutto in tema di diritti, famiglia, immigrazione, vaccini, apertura al mercato.

Lo sguardo è chiaramente rivolto a esperimenti politici controversi che hanno avuto un grande successo in altri Paesi europei, su tutti, ci pare di poter dire viste le parole d’ordine, quello della Polonia.

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