I cambiamenti climatici avanzano velocemente e la Cop26 rischia di essere un fallimento politico.
I cambiamenti climatici avanzano velocemente e la Cop26 rischia di essere un fallimento politico.
Ambiente

Alto rischio di fallimento per Cop26

Alla conferenza di Glasgow sul Clima non parteciperanno Cina, Russia e Brasile. Tra alcuni Paesi si è innescata una gara di annunci sulle riduzioni delle emissioni
di Chiara Manetti
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
26 ottobre 2021 Aggiornato alle 15:43

Più si avvicina la Cop 26, più emergono i timori che si tratterà di un flop. Lo conferma l’assenza delle grandi potenze come Cina, Russia e Brasile. E tra molti Paesi si è innescata una gara per annunciare le riduzioni di anidride carbonica, chi entro il 2030, chi entro il 2050 e altri ancora entro il 2060, rimandando, di fatto il problema alle generazioni future.

La conferenza in programma dal 31 ottobre al 12 novembre non si apre con le migliori premesse. A pochi giorni dalla Cop26, si tirano le somme sulle promesse di riduzione delle emissioni di Co2 sbandierate dai 196 Paesi che vi parteciperanno. L’obiettivo del Regno Unito, che insieme all’Italia ne è l’organizzatore, è di impegnare i governi a contenere l’aumento della temperatura di 1,5 °C nel 2030.

Boris Johnson punta a zero emissioni entro il 2050 e alla riduzione delle emissioni del 78% entro il 2035: secondo il premier si tratta di un obiettivo realistico, in particolare grazie ai progressi fatti nel campo dell’energia eolica. In Italia, secondo la Relazione annuale del Consiglio nazionale della green economy, le emissioni di gas serra nel 2021 hanno ripreso a crescere, si stima del 6%. Per raggiungere gli obiettivi climatici europei (-55% di emissioni entro il 2030), il Paese dovrebbe tagliare le proprie emissioni del 26,2% nei prossimi 10 anni, riducendole del 2,6% all’anno.

I grandi assenti

Ma gli occhi sono puntati in particolare su coloro che contribuiscono di più alle emissioni globali di Co2: la Cina, a esempio, ha già dichiarato che non parteciperà alla Cop 26. Il Paese emette il maggior numero di gas serra al mondo: è responsabile del 30% delle emissioni globali. Nonostante il crescente utilizzo di gas naturale, pannelli solari, turbine a vento e dighe per l’energia idroelettrica, il 57% del suo fabbisogno è soddisfatto ancora dal carbone. La Cina ha dichiarato che entro il 2060 ridurrà a meno del 20% l’utilizzo di combustili fossili, ma queste previsioni a lungo termine non hanno alcun impatto sull’immediato e potrebbero mutare da qui a quarant’anni. Inoltre il governo ha da poco deciso di aumentare l’estrazione e l’utilizzo del carbone per superare la crisi energetica che sta attraversando il Paese.

Xi Jimping non sarà il solo a disertare l’incontro: anche il presidente Vladimir Putin non ci sarà. La Russia è il quarto emettitore di Co2 a livello internazionale ed è tra quei Paesi che devono ancora pubblicare i loro obiettivi, noti come “nationally determined contributions” - NDC - attesi prima della Cop26. Un altro leader assente sarà il brasiliano Jair Bolsonaro, negazionista dei cambiamenti climatici, ed è ancora incerta la presenza di Messico, Sudafrica e Giappone. I primi due sono preoccupati per il peggioramento dei contagi nel Regno Unito, forse parteciperanno in collegamento streaming alla conferenza. Il Giappone, fino al 2020, è stato piuttosto cauto nelle politiche ambientali. L’ex premier Yoshihide Suga aveva fissato l’obiettivo di azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050, puntando sull’idrogeno. Oggi il Paese vuole ridurle del 46% entro il 2030.

La gara per le riduzioni delle emissioni

L’assenza di molti leader è solo l’ultimo segnale del fallimento anticipato della Cop26. Dei dieci Paesi che hanno prodotto più anidride carbonica dal 1850 a oggi, solo quattro hanno fatto nuove promesse sulla riduzione delle proprie emissioni: Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Canada. Oltre al Giappone, anche Brasile e Indonesia hanno semplicemente confermato i precedenti impegni. Anche l’Arabia Saudita dice di volere abbattere le emissioni mentre, dall’altra parte aumenta la produzione di greggio su esplicita richiesta del presidente americano Biden. Mohamed bin Salman ha annunciato una “economia circolare del carbonio” per raggiungere l’obiettivo emissioni zero entro il 2060.

Joe Biden, alle prese con i rincari dell’energia, ha dichiarato che sarà presente alla conferenza sul clima di Glasgow, promettendo di raggiungere quota zero emissioni in tutti i settori entro il 2050 o prima. Ma nei giorni scorsi il presidente aveva convocato i grandi responsabili dell’industria del petrolio e del gas per chiedergli di aumentare la produzione, ridimensionando la manovra da 3500 miliardi destinata in gran parte alla lotta ai cambiamenti climatici. A febbraio gli Usa, a cui si deve il 14% dei gas serra mondiali, sono rientrati nell’Accordo di Parigi dopo lo stop imposto da Donald Trump.

Anche l’Australia, ricca di carbone, ha fissato l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050. Ma ha anche evitato di fissare obiettivi a breve termine in vista del vertice sul clima. “Gli australiani vogliono un piano a emissioni zero entro il 2050, per fare la cosa giusta contro i cambiamenti climatici e mettere in sicurezza il loro futuro”, ha detto il premier conservatore Scott Morrison.

L’India ha da poco confermato la presenza del premier Narendra Modi al summit. Dopo gli Stati Uniti e la Cina, il Paese è il terzo inquinatore al mondo per gas serra: ufficiali del governo hanno fatto sapere che l’India proporrà nuovi obiettivi climatici nel corso del summit, ma non hanno rivelato dettagli. Secondo l’International Energy Agency l’India produce la stessa quantità di emissioni dell’Unione europea.

L’impegno di Bruxelles nella lotta al global warming sembra l’unico concreto. La Ue, responsabile dell’8% delle emissioni globali, con la Legge sul clima ha ribadito la volontà di ridurle del 55% entro il 2030 per arrivare alla neutralità climatica il 2050. “Faremo di tutto” per rendere la Conferenza di Glasgow “un successo, perché il clima non può attendere”, così la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen all’apertura della Settimana Ue dedicata all’energia sostenibile.

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