Ambiente

Perché il Mose compromette l’ecosistema di Venezia

Le barene, protagoniste di biodiversità al largo della Serenissima, rischiano di scomparire (anche) a causa del sistema di paratie attivato nel 2020. Lo sostengono gli autori di uno studio pubblicato su Science Advances
Riccardo Liguori
Riccardo Liguori giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
29 aprile 2022 Aggiornato alle 07:00

A minare il futuro della laguna di Venezia non ci pensa solo il cambiamento climatico. Ma anche il Mose.

Il sistema di protezione dalle inondazioni, attivato al largo della Serenissima a fine 2020 e composto da 78 paratie d’acciaio, avrebbe infatti importanti effetti sull’idrodinamica e sul trasporto dei sedimenti all’interno dell’ecosistema lagunare.

A sottolinearlo, uno studio pubblicato su Science Advances condotto da ricercatori delle università di Padova e Venezia. «Negli ultimi 100 anni abbiamo già perso circa il 75% delle barene, e il Mose non aiuterà certo a preservare quelle rimanenti», ha spiegato Alvise Finotello, primo autore dello studio e ricercatore del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

In base al dati emersi, le prime 15 chiusure delle paratie tra ottobre 2020 e gennaio 2021 hanno contributo a una riduzione del 12% della deposizione palustre.

Ecosistema caratteristico della laguna veneta, le barene sono distese piatte e basse limose argillose dove l’afflusso d’acqua viene regolato dalle maree, che scavano i ghebi, canali stretti e tortuosi.

Oasi di particolari specie animali e vegetali, le barene offrono casa a speciali piante che garantiscono un effetto depurativo per le acque. Tra le specie più diffuse c’è la Salicornia Veneta, che dà vita a una vera e propria piccola cortina muraria vegetale. Nelle zone più interne abbondano il Salicornieto e il Limonio.

Tipiche del Mediterraneo, qui vivono anche diverse specie ittiche e volatili, tanto stanziali quanto migranti, come i Cavalieri d’Italia. Anche qualche insetto riesce a trovare dimora, come il bruco del lepidottero Malacosoma, che si ciba delle foglie di limonio, la mantide e la cavalletta, dopo aver sviluppato particolari strategie di sopravvivenza, come scavare piccoli tunnel nel terreno in cui permangono bolle d’aria che rappresentano uno scudo dall’acqua e dai predatori.

Come si legge nello studio, il problema favorito dal Mose sull’ecosistema lagunare si manifesta nella riduzione dei livelli di marea incentivata dalle paratie, che altera l’equilibrio tra le correnti di marea e le onde generate dal vento, incrementando l’erosione dei sedimenti dalle secche della laguna. «Trasportati dall’acqua, i sedimenti si depositano nei canali, ma non sulle barene come accadrebbe normalmente. Come naturale conseguenza, la capacità delle barene di resistere a un aumento del livello del mare è compromessa».

«Mettendo assieme strumenti di modellistica e misure sul campo, - si legge nello studio - i ricercatori hanno analizzato gli effetti del sistema di paratoie mobili sull’evoluzione morfologica della laguna di Venezia. Hanno confrontato i dati del modello, che riproduceva la propagazione delle maree e il successivo trasporto dei sedimenti, con i dati di 15 chiusure del Mose».

I dati proposti sono stati anche confrontati con i dati di profondità raccolti nel 1970 e nel 2012, e con i dati sulle barene raccolti dal 2018 al 2021. «Nonostante siano state poche, gli effetti morfologici delle chiusure del Mose sono già significativi», ha spiegato Davide Tognin, ricercatore all’università di Padova.

Tuttavia, la conclusione degli studiosi non è quella rinunciare al complesso di paratie. Infatti, la chiusura delle bocche del porto durante gli eventi di marea è fondamentale per evitare l’inondazione della città: «i nostri risultati sottolineano, però, la necessità di trovare un compromesso tra le esigenze di mitigazione delle inondazioni e la conservazione dell’habitat della laguna».

Gli autori dello studio suggeriscono l’adozione, tempestiva, di misure complementari per mitigare gli effetti negativi delle chiusure delle barriere «poiché si prevede che le chiusure del Mose diventeranno più frequenti e più lunghe con l’aumento del livello del mare».

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