Wiki

La riforma del CSM spiegata facile

La Camera ha approvato il disegno di legge sulla giustizia che riorganizza anche l’organo di autogoverno della magistratura. Ecco le principali novità

Il 19 aprile la Commissione Giustizia della Camera ha concluso l’esame del disegno di legge - messo a punto dal governo su delega del Parlamento - per ristrutturare l’ordinamento giudiziario in generale, ma soprattutto il procedimento di costituzione e il funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l’organo di autogoverno delle toghe.

La riforma, approvata ieri alla Camera e ora al vaglio in Senato, si pone l’obiettivo di “spoliticizzare” e disincentivare il fenomeno delle spartizioni delle nomine, e si è resa necessaria anche a seguito di alcuni gravi scandali che hanno coinvolto gli esponenti della magistratura negli ultimi anni.

Cosa fa il CSM

La funzione principale del CSM, infatti, è quella di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Come? Adottando tutte le scelte che riguardano la vita professionale del magistrato e, in linea generale, l’amministrazione della giustizia: nomine, promozioni, trasferimenti ad altre sedi o funzioni, la formazione, il tirocinio, assenze e congedi, incarichi extragiudiziari o direttivi, sanzioni disciplinari.

Nel sottrarre agli altri poteri dello Stato le competenze in merito all’organizzazione interna della magistratura, si vuole evitare che le decisioni assunte dai giudici nell’esercizio delle loro funzioni siano in qualche modo influenzate dal timore di ripercussioni politiche sulla propria carriera.

Su cosa si concentra la riforma

Sono due i nodi cruciali attorno a cui ruota il disegno di legge approvato alla Camera: l’elezione dei membri del CSM scelti dalla magistratura stessa e alcuni vincoli per regolamentare l’attività di quei magistrati che decidono di entrare in politica.

Come cambierà la composizione del CSM

La proposta del governo, a cui si è giunti dopo vari appelli del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e lunghe trattive tra i partiti di maggioranza e l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), è una delle tre direttrici di una più ampia riforma della giustizia.

In primo luogo, interviene sulla composizione dell’organo di autogoverno, ripristinando il numero dei membri elettivi previsti dalla riforma approvata nel 2002: 30, anziché gli attuali 24. Di questi, 20 verranno nominati dagli stessi magistrati - dovranno essere 2 giudici della Corte di Cassazione, 12 di merito e 5 pubblici ministeri – 10 dall’organo che incarna la volontà popolare, il Parlamento, individuati tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati (i cosiddetti membri “laici”).

A questi devono, poi, aggiungersi i 3 membri di diritto: il Presidente della Repubblica, che lo presiede, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione.

Le novità nel procedimento di nomina ed elezione dei membri

Rispetto al sistema elettorale, si profila un modello misto piuttosto articolato, in cui 14 membri verranno scelti in base al principio maggioritario: i collegi – formati con decreto dal Ministero della Giustizia, almeno 4 mesi prima delle votazioni con un numero omogeno di magistrati - eleggeranno i 2 giudici più votati su un minimo di 6 candidati.

In assenza di candidati, si procederà con il sorteggio. Un seggio sarà assegnato a un pubblico ministero con un calcolo ponderato che individuerà uno tra i terzi più votati nell’ambito dei collegi. Gli ultimi 5, invece, verranno conferiti non più attraverso liste nazionali, ma solo con candidature individuali.

Sì al sorteggio, no alle nomine a pacchetto

Lo strumento del sorteggio e l’eliminazione delle nomine a pacchetto introducono degli importanti meccanismi di discontinuità, come spiega il Riformista. Le nomine a pacchetto, in particolare, consentivano di votare in blocco giudici appartenenti allo stesso ufficio e rappresentavano delle occasioni per concludere accordi a tavolino su reciproci favori e via libera ad avanzamenti di carriera.

Si inserisce, quindi, una componente di imprevedibilità nelle elezioni dei membri del CSM, tacciate ormai da anni di pratiche clientelari e di lottizzazioni delle cariche in base al colore politico in un organo che, come già detto, dovrebbe farsi garante dell’autonomia e dell’indipendenza del potere giudiziario.

Anche la magistratura cela al suo interno divisioni e correnti politiche, alcune più orientate a sinistra, altre a destra, altre ancora che si collocano al centro. La fazione che si aggiudica la maggioranza del sindacato, l’ANM, può esercitare un certo controllo anche sulle elezioni dei componenti del CSM.

Magistratura e cariche politiche

Una delle novità più importanti è rappresentata dal superamento delle cosiddette “porte girevoli”: sarà vietato, cioè, esercitare al contempo funzioni giurisdizionali e incarichi elettivi, di governo o amministrativi.

I magistrati, inoltre, non potranno candidarsi a cariche elettive nazionali, regionali, provinciali ed europee, nelle regioni in cui hanno svolto le loro funzioni nei 3 anni precedenti.

Una volta candidati, andranno in aspettativa senza percepire il compenso, con diritto eventualmente alla conservazione del posto e al computo in termini pensionistici del periodo trascorso in aspettativa.

Cosa accade a fine mandato o in caso di mancata elezione

Nell’eventualità di un ritorno alla magistratura dopo l’elezione in politica, non potranno più esercitare funzioni strettamente giurisdizionali (ossia che implichino la diretta applicazione della legge), ma solo rivestire ruoli amministrativi o ministeriali o all’interno delle sezioni consultive del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti o della Corte di Cassazione.

Al contrario, in caso di cariche di vertice nei ministeri, o comunque non di natura elettiva, dopo 3 anni dalla conclusione del mandato, potranno indossare di nuovo la toga.

Chi invece ha concorso per una carica, senza essere eletto, non potrà tornare a lavorare né nella regione della circoscrizione elettorale in cui si è candidato, né in quella del distretto in cui esercitava le funzioni giurisdizionali prima della candidatura, per i 3 anni successivi.

Leggi anche
Diritti
di Giulia Blasi 6 min lettura
social network
di Guido Scorza 5 min lettura