Culture

Simone Leigh: chi è la vincitrice della Biennale Arte

Con Brick House la statunitense Simone Leigh, artista e attivista nera, si è aggiudicata il Leone D’oro a Venezia. I suoi temi: il colonialismo, la diaspora africana, la cultura dei primi neri americani. Premiata anche la collega britannica Sonya Boyce
L'artista Simone Leigh.
L'artista Simone Leigh.
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26 aprile 2022 Aggiornato alle 21:00

Immersa nei Giardini della Biennale di Venezia c’è un’opera imponente, una macchia dorata nel bel mezzo degli spazi verdi della mostra internazionale della città. Alta poco più di sette metri, è una delle opere dell’artista Simone Leigh, che ha conquistato il Leone D’oro alla 59esima edizione della Esposizione Internazionale d’Arte che si svolge dal 23 aprile al 27 novembre.

Insieme a Sonia Boyce, del padiglione del Regno Unito, è la prima donna nera a rappresentare il suo Paese d’origine - gli Stati Uniti, dove è nata nel 1968 -, alla mostra di Venezia, che ha ben 127 anni di vita. L’intera collezione di bronzi e ceramiche, poste nel padiglione statunitense, prende il nome di “Sovereignty, nome che deriva dal desiderio di indicare idee di autodeterminazione legate al pensiero femminista nero. Lo ha spiegato la stessa artista al Washington Post: «Il vero scopo del pensiero femminista nero è il nostro desiderio di essere noi stessi. E di avere il controllo sui nostri corpi». L’opera ruota, infatti, attorno ai temi di genere, razza e lavoro, e rimanda a una narrazione sulle donne nere, sulla loro resilienza e sul loro impegno a resistere in una società in cui troppo spesso non hanno voce.

La giuria, presieduta dalla curatrice Adrienne Edwards, e composta anche da Lorenzo Giusti, Julieta González, Bonaventure Soh Bejeng Ndikung e Susanne Pfeffer, l’ha premiata «per la monumentale scultura all’ingresso dell’Arsenale, rigorosamente ricercata, realizzata con virtuosismo, potentemente suggestiva che, insieme a Belkis Ayón, ha fornito un’avvincente apertura alle idee, sensibilità e proposte di cui è costellato e animato Il latte dei sogni», che è il nome di questa edizione della Biennale. Si riferisce a “Brick House”, che rappresenta il busto di una donna nera, in bronzo.

L’artista, creando una serie di sculture figurative anche in ceramica smaltata, acciaio e altri materiali, fa riferimento all’arte africana del XIX secolo, alla storia coloniale e alla cultura dei primi neri americani. La mostra parte dall’esterno della struttura, con la scultura bronzea che prende il nome di “Satellite”: nelle opere presentate a Venezia, Leigh ha voluto fare riferimento al colonialismo e alla diaspora africana, con uno stand che si rifà, tra le altre cose, alle case di proprietà in stile neoclassico all’interno delle piantagioni in cui i neri venivano schiavizzati nell’Ottocento. La curatrice del padiglione è Eva Respini, dell’Institute of Contemporary Art di Boston, nata da padre italiano e madre norvegese e trasferitasi negli Stati Uniti per proseguire gli studi universitari.

Leigh, nata a Chicago, porta all’interno della sua arte le questioni, i ruoli e i diritti delle donne nere, che dovrebbero ricevere la giusta attenzione e divenire, una volta per tutte, centrali. Da sempre l’artista trova ispirazione in storie di urgenza e azione all’interno delle comunità nere, ponendo l’accento sulle disuguaglianze sociali troppo diffuse nella società moderna. E non è la sola.

Insieme a lei, l’artista britannica di origini afro-caraibiche Sonia Boyce, che ha vinto il premio per la miglior partecipazione nazionale alla mostra. La sua opera si intitola “Feeling Her Way” e unisce voci femminili che si sovrappongono, si affiancano, si intersecano e creano un mix che a volte stona e a volte avvolge gli spettatori in un’armonia di suoni. Un’istallazione multimediale immersa nei Giardini della Biennale, che sorgono sul margine orientale della città e furono realizzati da Napoleone agli inizi dell’Ottocento.

Boyce, la prima donna nera a rappresentare il Regno Unito, è anche la terza artista nera a occupare il padiglione Uk dopo Chris Ofili nel 2003 e Steve McQueen nel 2009. Boyce, nata a Londra e di origini afro-caraibiche, ha iniziato a raffigurare soggetti neri a partire dagli anni Ottanta, quando un’ondata di razzismo colpì il Regno Unito, facendo emergere cosa significasse vivere in una società patriarcale in gran parte bianca.

Emma Dexter, direttrice delle arti visive del British Council, e curatrice del padiglione Uk, ha spiegato di aver scelto Boyce perché «solleva importanti domande sulla natura della creatività, mettendo in discussione chi fa arte, come si formano le idee e la natura dell’autorialità».

L’opera all’interno del padiglione britannico, che a fine dell’Ottocento era un café-restaurant, e dal 1938 è stata presa in custodia dall’organizzazione culturale British Council, ha riunito fotografie scattate alle cinque artiste protagoniste dell’opera - Poppy Ajudha, Jacqui Dankworth MBE, Sofia Jernberg, Tanita Tikaram e la compositrice Errollyn Wallen CBE –, carte da parati geometriche, tipiche dell’artista di origini afrocaraibiche classe 1962, strutture dorate usate come sedie dagli spettatori e dalle spettatrici che osservano e ascoltano le donne riunite in questo tripudio di musica pop, jazz, folk e blues, versi di animali, bassi e improvvisazione.

“Feeling Her Way” e Boyce sono state premiate per aver proposto “un’altra lettura delle storie attraverso il sonoro. Lavorando in collaborazione con altre donne di colore, spacchetta una miriade di storie messe a tacere. Boyce propone un linguaggio molto contemporaneo in relazione alle forme frammentate che lo spettatore vivendo il padiglione può ricostruire”, scrive la giuria internazionale tra le motivazioni della consegna del Leone D’oro.

Boyce, che ha registrato le performance nei celebri studi di Abbey Road, a Londra, ha posto una domanda alle performer: “Come donna, come persona di colore, che aspetto ha la libertà? Come te la immagini?”. Da qui le artiste hanno dato libero sfogo alla propria creatività, guidate da Wallen, unica compositrice del gruppo, e si sono esibite singolarmente, in sessioni separate, poi abbinate da Boyce nel padiglione. L’obiettivo era mostrare al tempo stesso libertà, potere e vulnerabilità, aspetti che la giuria ha colto perfettamente, elogiando l’artista per aver sollevato “importanti questioni relative alle prove” in contrasto con la musica perfettamente intonata, nonché per aver creato “relazioni tra voci sotto forma di un coro in lontananza”.

In questa edizione, oltre alla scultrice Simone Leigh e a Boyce, anche un’altra donna nera ha rappresentato il suo Paese per la prima volta: Zineb Sedira, di origini algerine, per la Francia. Quest’anno, poi, le artiste sono state molto più numerose dei colleghi uomini, espugnandoli totalmente dai Giardini della mostra, insieme ad alcuni artisti non binari e transgender. Nel 2019 le donne erano solo il 30% dei partecipanti totali, ma quest’anno la curatrice italiana Cecilia Alemani ha deciso di dare più rappresentanza al mondo femminile, tanto che la critica d’arte dell’Observer Laura Cumming ha detto che «la 59esima edizione passerà alla storia come la Biennale delle Donne».

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